150 Minuti di Allenamento Per Prevenire L’ Alzheimer ereditario.

8 Aprile 2019 at 19:44 ·

150 Minuti di Allenamento Per Prevenire L’ Alzheimer ereditario.

Praticare 150 minuti di allenamento a settimana può ritardare l’insorgere dell’Alzheimer a carattere ereditario.

Uno studio trasversale medico-scientifico, recentemente pubblicato su Alzheimer’s & Dementia: The Journal of the Alzheimer’s Association, mette in evidenza che lo sport è importante per prevenire o rallentare la malattia di Alzheimer: fare 150 min di allenamento a settimana – anche una corsetta leggera- può ritardare una rara forma di Alzheimer ereditario. Tale studio raccoglie le informazioni sulle abitudini di 459 persone nei 15 anni precedenti. I candidati all’esperimento furono presi dal registro DIAN ( Dominatlly Inherited Alzheimer Network) e scelte tra quelli che avevano almeno un familiare affetto da una rara forma di Alzheimer genetico/ereditario. Un registro creato dalla Washington University School Of Medicine in St. Louis. Il registro è accessibile a tutti. Vi aderiscono e possono aderire volontariamente i malati di Alzheimer, i loro famigliari o chi semplicemente sospetta l’insorgere della Malattia.

Nel campione di persone individuate per l’esperimento, a 275 li fu identificata la mutazione genetica. Il rimante del gruppo preso in considerazione non avevano alcuna mutazione. L’ età media dei partecipanti era di 38,8 anni.

L’alzheimer genetico/ereditario

Si parla di ereditarietà quando nel familiare malato si ha una mutazione genetica autosomica dominante in almeno uno dei tre geni ritenuti responsabili del Morbo. I parenti della persona con la mutazione genetica hanno la probabilità del 50% di ereditare la stessa mutazione genetica autosomica dominante. Il familiare erede del gene mutato ha una probabilità molto alta – 90% circa – di sviluppare la demenza di Alzheimer prima dei 60 anni di età.

Come ritardare i sintomi del Morbo di Alzheimer

Lo studio scientifico consisteva nel prevedere l’anno in cui si sarebbero dovuti osservare i primi sintomi dell’Alzheimer nei soggetti “eredi” tenendo presente l’eta in cui la Malattia esordì nei loro familiari. Dove non c’era l’insorgenza della malattia nell’anno previsto, gli scienziati notavano che: quelli che si allenavano almeno 150 min a settimana riuscivano ad avere una cognizione del cervello migliorata, rispondevano meglio al test MMSE (il Minimal Mental State Examination è un questionario che si usa per diagnosticare la demenza al Paziente). Con l’attività fisica riuscivano a prevenire l’ Alzheimer .

Al contrario, quelli che non praticavano o praticavano meno di 150 min a settimana di allenamento fisico dimostravano un declino cognitivo quando sottoposti al test MMSE . Mentre non vi erano cambiamenti nel gruppo di 184 persone.

Inoltre, i portatori di mutazioni “sportivi” mostravano una diminuzione significativa dei biomarcatori del morbo di Alzheimer nel liquido cerebrospinale, compreso un più basso livello di Tau ( una proteina che si accumula in gruppi tossici nel cervello delle persone con diagnosi di Alzheimer ) misurati all’inizio dello studio e di nuovo alla comparsa prevista dell’ Alzheimer. Quelli con un basso livello di attività fisica, al contrario, mostravano un aumento dei biomarcatori di Alzheimer, incluso un’eccessivo accumulo di Tau.

I benefici dell’ attività fisica

Lo studio scopre un effettivo collegamento tra maggiori quantità di esercizio fisico e una conseguente diminuzione delle probabilità di diagnosticare una demenza. I risultati rivelano anche un effetto benefico dell’attività fisica sui sintomi della demenza in individui con l’Alzheimer genetico/ereditario. Quindi, uno stile di vita fisicamente attivo sembra svolgere un ruolo molto importante per rallentare lo sviluppo e la progressione della malattia autosomica dominante dell’Alzheimer. Altri studi dimostrano, anche, come l’attività fisica può ritardare di circa 20 anni l’insorgenza dell’ Alzheimer negli individui con il polimorfismo della proteina APOE4 .

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Ecco lo “Snack” che migliora la tua Intelligenza del 60%

24 Marzo 2019 at 17:47 ·

Ecco lo “Snack” che migliora la tua Intelligenza del 60%

Se abbiamo voglia di uno spuntino, quello che facciamo di solito è aprire la credenza o il frigorifero e, senza pensarci, afferriamo la prima cosa che ci capita davanti agli occhi. Ma secondo la nuova ricerca scientifica dell’ Università del Sud Australia fare uno spuntino con delle noci o noccioline piuttosto che, diciamo, con patatine o biscotti, dà un grande apporto alla salute cerebrale.

Quante Noci Bisogna Mangiare Per Avere Benefici Al Cervello?

Con uno studio condotto su circa 5.000 persone di età compresa tra i 22 e i 55 anni, i ricercatori hanno dimostrato che chi mangia più di 10 grammi di noci al giorno – l’equivalente di circa 9 noci al giorno – ha una migliore capacità delle funzioni mentali, inclusa una migliorata capacità di pensare, razionalizzare e memorizzare.

Questo dato, secondo i ricercatori, è un’informazione significativa che contiene un informazione chiave per salvare una popolazione che invecchia sempre di piú e che va incontro a malattie non guaribili tipo le demenze.

La Nutrizione Attualmente Sembra Sia La Migliore Arma Contro La Demenza

“L’invecchiamento della popolazione è la sfida più grande del XX Secolo. Non solo le persone vivono più a lungo, ma con l’avanzare della loro età richiedono un maggiore sostegno sanitario che esercita una pressione senza precedenti sui servizi integrati di assistenza all’anziano e alla salute.”

Afferma il Dr. Ming Li leader della ricerca sopra citata.

“In Cina, questo è un problema enorme, la popolazione sta invecchiando molto più rapidamente di qualsiasi altro Paese.”

Si stima che nell’anno 2050 330 milioni di cinesi saranno over 65 e 90,4 milioni saranno over 80. Questa previsione ritrae la più grande nazione del mondo per numero di anziani. Secondo L’Organizzazione Mondiale della Sanità, in tutto il mondo, il numero delle persone con età superiore ai 60 anni supererà il numero dei bambini con età inferiore ai 5 anni entro l’anno 2020.

“Migliorare e prevenire l’Assistenza Sanitaria – a partire dal modifivcare il modo in cui ci nutriamo – può aiutare ad affrontare meglio le sfide che la società moderna subisce a causa del l’invecchiamento della popolazione”.

dice il Dott. Ming.

Le Noci E Le Noccioline Sono Utili Alla Salute Mentale

I benefici delle noccioline alla salute mentale è un dato certo. Infatti la ricerca dell’Università ha analizzato nove ondate di dati raccolti in 22 anni dal China Health Nutrition Survey dove si rileva che il 17% delle persone che hanno risposto al questionario sono consumatori quotidiani di noccioline (specialmente arachidi): la funzione cognitiva globale misurata ripetutamente nel 1997, 2001, 2004 e nel 2006 utilizzando varie interviste telefoniche divise in sottoinsiemi per difficoltà e livello delle funzioni cognitive impegnate per la risposta; il dato sul consumo di noccioline è stato raccolto col metodo “recall delle 24H” , vale a dire che il soggetto negli anni 1991 e 1993 veniva contattato per 3 giorni e l’operatore trascriveva le bevande e gli alimenti assunti nelle 24 ore precedenti e di seguito sottoposto al questionario di valutazione cognitiva per valutare se vi era statisticamente un collegamento tra il tipo di alimentazione e la regressione lineare cognitiva. Quindi, il punteggio cognitivo è diminuito in un anno di 0,29 punti dal 1997 al 2006 per effetto del normale decadimento cognitivo causato dell’invecchiamento, ma per i consumatori di noci – per i quali già il quoziente intellettivo è più alto di 0,63 – il decadimento è inferiore del 40% . In conclusione l’invecchiamento del cervello è inversamente proporzionale al consumo di noci o noccioline.

“Si sa che le noci sono ricche di proteine e fibre e hanno un alto contenuto nutrizionale che può abbassare il colesterolo e migliorare la salute del cervello. Mangiando 10 grammi di noci e/o noccioline al giorno le, persone anziane, posso migliorare le proprie abilità intellettuali del 60% e invecchiare 2 anni in meno rispetto a chi non mangia noci.”

L’aggiunta di alimenti salutari per il cervello nella propria dieta può essere un modo per abbassare il rischio di demenza in mancanza, effettivamente, di cure farmacologiche.

“Man mano che le persone invecchiano, sperimentano naturalmente cambiamenti nel ragionamento concettuale, nella memoria e nella velocità di elaborazione delle informazioni. Questo fa parte del normale processo di invecchiamento. Ma l’età è anche il più noto fattore di rischio per le malattie cognitive ” – dice Li. “Abbiamo trovato un modo per aiutare le persone anziane a mantenere più a lungo la loro salute cognitiva e la loro indipendenza, modificando la loro dieta.”

fonte: https://neurosciencenews.com/nut-consumption-brain-health-10920/

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CONSIGLI PER … MANGIARE

19 Marzo 2019 at 13:35 ·

CONSIGLI PER … MANGIARE

Ognuno di noi ha bisogno di una adeguata alimentazione per essere in salute, forte e abile; una buona dieta è essenziale per stare bene. Ciò vale anche per le persone affette da Morbo di Alzheimer. Frutta e verdura, noccioline e pesce, per esempio, contengono molti anti-ossidanti e acidi grassi Omega-3 che possono migliorare la salute del cervello. Quello che cambia con le persone con l’Alzheimer è la loro abilità a mangiare. Proprio perché tutto il cervello è coinvolto nelle azioni che si compiono per mangiare, quando parti di esso sono danneggiate dal Morbo, un malato può avere difficoltà a nutrirsi da solo o, spesso, dimenticare come si mastica e ingoiare sono tutti aspetti della malattia di Alzheimer che possono stravolgere le consuetudini di mangiare.

Cosa può fare il Caregiver :

Incoraggiare.

Gli individui che vivono con la demenza possono essere distratti e perdere l’interesse a mangiare. E’ importante, quindi, incoraggiarli. Un buon modo per spronare il loro interesse è invitarli nella cucina, o vicino alla cucina, mentre il cibo si sta cucinando – il profumo e gli aromi sono un potente stimolatore dell’appetito. Limitare l’uso del sale e zucchero, sostituirle con altre spezie ed erbe speziate per aggiungere sapore e stimolare le papille gustative.

Renderlo più facile.

Porgere solo un alimento alla volta ; una tavola o un piatto con più vivande può confonderlo. Servite i piatti singolarmente su un piatto unico. Usare posate che permettono alla persona malata di Alzheimer buone possibilità di riuscire a condurre il cibo alla bocca; per esempio, un cucchiaio potrebbe essere più facile da usare che di una forchetta per prendere il boccone dal piatto e portarlo su. Considerare di usare posate leggere ed ergonomiche, per limitare la vostra presenza ad assistere e accompagnare la persona con demenza nell’afferrare la forchetta o il cucchiaio autonomamente. Gli alimenti pre-tagliati e il “finger food” sono più facili da gestire.

Essere comunicativo ed espansivo.

Ricordare che i pasti sono un evento sociale che piace a tutti. Prendersi del tempo per sedertsi accanto al proprio caro, offrigli compagnia e convivialità, e se la persona ha bisogno di ricordare qualcosa o di assistenza, si è lì pronti ad aiutare.

ATTENZIONE

Quando il Morbo di Alzheimer progredisce, il malato può avere un incremento della difficoltà ad ingoiare. Presta specialmente attenzione ad assicurarti che non soffochi con i cibi e le bevande. Sii consapevole del tempo che ci vuole tra un boccone e un altro. Chiedete l’opinione di un professionista Socio_sanitario per valutare se ci sono dei problemi specifici di nutrizione, oltre a chiedere consigli nella scelta di alimenti che sono più adatti a quelle persone che hanno problemi a masticare.

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PADRE E FIGLIO IN CAMMINO CON IL MORBO DI ALZHEIMER

16 Marzo 2019 at 18:13 ·

PADRE E FIGLIO IN CAMMINO CON IL MORBO DI ALZHEIMER

“Se dimentichi dove hai messo le chiavi di casa, probabilmente è solo una dimenticanza ma se dimentichi a cosa servono le chiavi, potrebbe essere un sintomo dell’ Alzheimer”. Dr. Max Gomez

Il dott. Max Gomez non è estraneo all’ Alzheimer. Come giornalista medico e reporter per la WCBS-TV ha riferito durante gli anni in merito alla crescente incidenza del Morbo di Alzheimer, la genetica della malattia, i nuovi farmaci, la questione di essere un alzheimer caregiver e l’avanzamento della scienza nella ricerca di una cura. Ma il suo reporting più esordiente, emozionale e sincero è stato quando il Dott. Gomez ha raccontato la sua personale esperienza osservando la progressione della malattia di suo padre.
Il dott. Gomez (senior) ha fatto nascere più di 4.000 bambini in America, aveva una carriera medica di successo, ed è stato un esempio e mentore per suo figlio.
“Mio padre era spesso mite e un vero figurino“, Max ricorda con affetto. “Lui era molto meticoloso per quanto riguarda il suo apparire. I suoi vestiti e le cravatte erano perfetti, prestava attenzione finanche al fazzoletto da taschino di lino e alla profumazione dell’acqua di colonia”. Max non avrebbe mai pensato che il suo papà un giorno, di colpo, avrebbe smesso di lavarsi e radersi, o di non cambiarsi i vestiti per giorni interi.

Per Max, il campanello di allarme arrivo quando l’amministratore condominiale del papà lo mandò a chiamare per segnalargli che suo padre non pagava da diversi mesi le spese condominiali. Immediatamente Max cerca di contattarlo al telefono, ma il padre non gli rispose e, perciò, si precipito a casa del padre. Sapeva che suo padre stava attraversando un periodo particolare e soffriva di depressione. Ma quando gli aprì la porta a torso nudo e in stato confusionale, Max, realizzò che c’era qualcosa di molto più serio di una dimenticanza.


Mentre Max lo accudiva, scoprì che la personalità di suo padre stava cambiando, spesso si arrabbiava quando gli veniva detto cosa fare. Come se ciò non bastasse, scoprì che suo padre aveva gestito male i suoi soldi, permettendo a una sedicente “fidanzata” di fargli firmare assegni di migliaia di dollari intestati a lei. Cliniche mediche lo avevano usato come prestanome e il direttore medico aveva usato la sua identità per archiviare milioni di false prestazioni mediche sostenute a sua insaputa, e alla fine denunciò tutto all’FBI affinché si facesse luce sulle responsabilità dei colpevoli.

Negli anni successivi, Max divenne caregiver di suo padre, guardandolo peggiorare -prima lentamente, poi più rapidamente fino a che non riusciva e non poteva più vivere da solo. Max riuscì a convincere sua padre a trasferirsi da Miami in una casa di cura non molto lontana dal suo appartamento di Manhattan. Anche se il personale della casa di cura era molto professionale e coscienzioso, toccava sempre a Max lavare suo padre, raderlo e vestirlo perché, intanto, il Dott. Gomez Senior aveva incominciato a rifiutare l’aiuto degli assistenti nella casa di cura.
Vari problemi di salute lo portarono a diversi ricoveri fino a quando, ormai degente, spese gli ultimi mesi di vita presso una residenza sanitaria. Terminato questo viaggio Max ricorda tristemente: ” Mio padre non ha mai capito di aver perso tutti i soldi. E non ha mai ammesso di avere il morbo di Alzheimer”.
L’interesse di Max per la Malattia di Alzheimer iniziò molto prima di essere coinvolto personalmente con l’ammalarsi del padre, infatti, prese un Dottorato in Neuroscienze basato su il suo interesse per il cervello e su come i ricordi si formano e in alcuni casi, si perdono. Ma a quel tempo, lui non pensava di lasciare il mondo accademico per una carriera radiotelevisiva.
Questo durò fino a quando, essendo ricercatore all’Università di Rockefeller, partecipò ad un seminario per accademici interessati a cambiare carriera. “Non ero così entusiasta di colpire i topi con degli elettrodi” – dice. “Il seminario mi ha fatto riflettere su percorsi di carriera alternativi”.
Era l’estate del 1980, quando la televisione stava cercando di allargare la propria programmazione integrando salute e scienza alle trasmissioni televisive. Il tempismo era perfetto per Max, che si dimisi dal precedente impiego e decise di provare la TV. Max diventò l’editore di salute e scienza per WNEW-TV 1980 e poi alla KYW-TV di Philadelphia dal 1984 a oggi 1990. Nel 1991 è tornato a New York alla WNBC-TV, dove ha lavorato altri tre anni alla WCBS-TV dal 1994 al 1997, dopo di che tornò alla WNBC e dal 2007 Max è di nuovo il corrispondente medico presso WCBS-TV.
Nel corso degli anni, Max ha ricevuto numerosi premi, tra cui sette New York Emmy, due Philadelphia Emmy’s, un premio UPI per il miglior documentario per un reportage AIDS e il premio Excellence in Time of Crisis dalla Città di New York dopo l’11 settembre.Inotre, Max ricevette un award come miglior giornalista medico TV.
Da giornalista con un particolare interesse nella malattia di Alzheimer, Max ha rivelato al grande pubblico, negli ultimi anni, Terapie per l’Alzheimer, tra cui, l’aromaterapia e l’utilizzo della musica per aiutare a combattere la demenza e anche i numerosi studi clinici su vaccini, farmaci e altri interventi che cercano di rallentare, trattare o prevenire la malattia. Quando riflette sulla sua personale lotta, ammette, “La gente mi ha sempre detto che ero un figlio lodevole, ma era così difficile vedere e guardare inermi il deterioramento di mio padre, e mi sono sempre sentito in colpa per non aver fatto abbastanza. ” E’ fiducioso, però, che dalla sua esperienza si possono trarre lezioni utili per quelli che sono nelle sue stesse condizioni.
“Guarda i primi segnali di allarme” avverte. “Se vedi un tuo caro prendere decisioni strane o impulsive, in particolare economiche, queste sono cose che ti dovrebbero mettere in allarme.”Inoltre, Max scoraggia quello che lui chiama ” il complesso del Martire”. “E’ normale sentirsi in dovere nei confronti dei propri cari e accudirli presso la loro casa tutto il giorno, ma nessuna persona da sola può fare quello che un team di operatori socio-sanitari è in grado di fare e a volte, essere curati a casa non è la migliore soluzione per le persone affette da Alzheimer.”
E, infine, consiglia Max: “se devi essere l’assistente principale del malato, chiedi aiuto. Ci sono gruppi di supporto e gruppi sociali che si prendono in carico il famigliare malato e ti danno l’occasione di fare una pausa dalla schiacciante responsabilità di essere un Alzheimer caregiver. Diversi tipi di comportamento richiedono altrettanti diverse modalità di aiuto, ma soprattutto, ricorda che non puoi fare tutto da solo“.

Fonte: https://alzfdn.org/media-center/afa-care-quarterly/

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LA MARIJUANA PUO’ CURARE IL MORBO DI ALZHEIMER?

29 Gennaio 2019 at 15:37 ·

LA MARIJUANA PUO’ CURARE IL MORBO DI ALZHEIMER?

Non è stato mai così facile far uso di marijuana quanto negli ultimi tempi: il Canada, ad esempio, ne ha appena legalizzato l’uso per scopi ricreativi , unendosi ad altri nove stati negli USA. Altri 21 stati hanno legalizzato la marijuana ad uso medico.

Può la marijuana curare l’Alzheimer?

La risposta ci viene fornita dal Dr. Nathan Herrmann, direttore del reparto di geriatria psichiatrica al Sunnybrook Health Sciences Centre in Canada e uno dei pochi ricercatori che studia l’impatto che hanno i cannabinoidi sulle manifestazioni aggressive e ansiose dei pazienti malati di Alzheimer e, a proposito chi si cura di loro dovrebbe considerare questa alternativa.

Quando Herrmann e la sua equipe ha esaminato per la prima volta gli studi sui cannabinoidi e la malattia di Alzheimer, constatarono che solo 150 pazienti con l’Alzeimer furono inclusi nelle sperimentazioni cliniche. Molti di questi studi non riuscirono a dimostrare che i cannabinoidi potessero avere benefici sui pazienti affetti da Alzheimer e ridurre l’agitazione e l’aggressività.

Le limitate ricerche e studi a riguardo, spinsero Hermann and Dott. Krista Lanctot a verificare se il “nabilone”, un cannabinoide sintetico, potrebbe essere usato per trattare clinicamente l’agitazione nei pazienti Alzheimer. Quindi, presentarono i loro risultati alla Conferenza internazionale della Malattia di Alzheimer.

L’ equipe accerta che il nabilone comparato con qualsiasi altro placebo, ha più effetto nella riduzione degli stati aggressivi e ansiosi tipici dei malati di Alzheimer
Hermann enfatizza specifica che i loro che i loro risultati non dovrebbero essere visti come la prova che la marijuana medica è miracolosa o un metodo certo per la cura della malattia di Alzheimer dato che il nabilone e la marijuana non sono la stessa cosa.
Nel futuro Herrmann spera di condurre uno studio su larga scala per avere una miglior prova se il nabilone può essere usato o meno nella cura delle manifestazioni aggressive e ansiose dell’Alzheimer.

Intervistato da una rivista medica il Dott. Herrmann risponde in merito ai suoi studi e se c’è qualche beneficio sulla parte cognitiva della persona che fa uso di cannabinoidi.

Qui sotto l’intervista al dottore.

Che cosa i ricercatori sanno sugli effetti dei cannobinoidi sul trattamento dell’agressività e dell’ansia nelle persone malate di Alzheimer? Cosa gli studiosi sperano di scoprire?

Ci sono pochi studi che hanno esaminato gli effetti dei cannabinoidi nella cura dell’ Alzheimer e quei pochi sono stati condotti su un numero piuttosto piccolo di pazienti. Comunque, basati su alcuni studi preliminari di altri segmenti, tipo giovani schizofrenici o con bipolarismo, alti studi su animali, c’è almeno una ragione per teorizzare che questi farmaci avrebbero effetti positivi. Perciò, è necessario fare molto di più, sperimentare su un numero piuttosto considerevole di persone affette da Alzheimer per determinare gli effetti positivi e quelli collaterali. Abbiamo bisogno di fare un’ottima analisi su quanto i cannabinoidi siano effettivamente efficaci nei trattamenti, quale tipi di disturbi comportamentali posso alleviare, quali dosaggi usare e quali tipi di cannabinoidi sono i migliori per la cura Alzheimer. Se tali farmaci sono veramente sicuri è, poi, un’altra questione chiave che deve essere affrontata da una migliore ricerca sul campo.

Perché avete deciso di sperimentare i cannabinoidi sintetici?

I cannabinoidi sono prodotti dalle case farmaceutiche, la oro composizione è completamente standardizzate e il farmaco per essere usato in clinica deve essere approvato dall’Autorità per constatare l’efficacia e la sicurezza. Questo metodo è in completa contraddizione con la marijuana medica. Il Nabilone è stato scelto specificamente perché è già disponibile da molti anni nel trattamento post-chemioterapia la quale induce nausea e vomito, quindi la sicurezza del farmaco è fuori discussione. E’, invece, con la marijuana medica che si hanno infiniti problemi con la uniformazione dei principi attivi e a diffusione del farmaco nel flusso sanguigno.

C’è stata mai uno studio fatto sull’olio di cannabinoidi e i suoi effetti sui malati di Alzheimer?

Io, personalmente, non raccomando l’uso dell’olio a base di CBD perché induce effetti collaterali gravi e per la mancanza di ricerche scientifiche su di esso. Controllando i registro pubblico del farmaco sia americano che europeo, posso assicurare che non ci sono al momento documenti che associno l’olio CBD alla cura dei pazienti con Alzheimer. Su quattro studi ufficiali che riguardano la malattia di Alzheimer, su alcuni di loro si sono usati composti che includono THC e CBD, entrambi, ma in nessuno studio è stato utilizzato solo l’olio CBD dissociato.

Ci può dire di più sui componenti chimici della cannabis e come influenzano il comportamento?

I più importanti principi attivi della cannabis (o marijuana) sono il #THC e il #CBD (cannabinoide): Il THC è più conosciuto per i suoi effetti intossicanti, questo perché è usato per scopi “ricreazionali”. Il CBD ha alcuni lievi effetti ansiolitici, ma inoltre si figura come un anti-infiammatorio, aiuta a sopportare il dolore e migliora la nausea. Questi principi attivi potrebbero venire in aiuto ad alcuni aspetti della Malattia di Alzheimer, ma potrebbero anche usare dei preoccupanti effetti collaterali inclusi la sedazione, peggioramento della memoria e di altre attività cognitive, e spesso sintomi psicotici.Gli effettii del Nabilone, invece, differiscono da entrambi i composti THC e CNB.

Qual’è il futuro della ricerca sui cannabinoidi usati sui malati di Alzheimer? Che cosa i ricercatori sperano di imparare e scoprire?

Sulla base dei nostri studi, ci risulta conveniente ripetere uno studio sul Nabilone usando un maggior numero di paziente e un tempo di somministrazione più lungo. Anche un altro cannabinoide sintetico, il dronabinol, dovrebbe essere studiato. Data la preoccupazione espressa per la preparazione e uniformazione e la somministrazione della marijuana medica, non sono convinto che i cannabinoidi debbano essere raccomandati dai medici. Noi possiamo solo, oltremodo, affermare che questi tipi di farmaci sono adatti a ridurre il dolore e migliorare l’appetito nei pazienti con Alzheimer. Infine, gli effetti anti-infiammatori potrebbero anche avere effetti tali da modificare in meglio il decorso della malattia.

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CORRERE AIUTA E PROTEGGE LA NOSTRA MEMORIA

29 Gennaio 2019 at 15:37 ·

CORRERE AIUTA E PROTEGGE LA NOSTRA MEMORIA

  La frase “allena la tua memoria” acquisisce un nuovo significato alla luce di una nuova ricerca scientifica che dimostra che la semplice “corsa” aiuta a migliorare sia la memoria che la salute mentale. Gli scienziati del Brigham Young University l’esercizio fisico diminuiscono gli effetti che lo stress ha sull’ippocampo, un area cardine collegata alla memoria e a all’apprendimento.   Lo stress – soprattutto quando diventa cronico e attiva il sistema endocrino per rilasciare corticosteroidi – indebolisce, nel tempo, le connessioni tra i neuroni dell’ippocampo e, addirittura, può bloccare del tutto la creazione di nuovi neuroni. Lo stress cronico, come è stato dimostrato, accelera il declino del cervello nelle persone affette da un lieve deterioramento cognitivo ed è considerato un fattore di rischio che causa la Malattia di Alzheimer.   L’esperimento condotto per validare gli studi consiste nel dividere topi da laboratorio in quattro gruppi: un gruppo che usava la ruota per correre ed erano esposti a eventi stressanti, come nuotare nell’acqua fredda o camminare su binari posti ad altezze elevate; un gruppo che usava la ruota per correre e non erano esposti ad alcun tipo di stress; e due gruppi, per così dire, sedentari e cioè non avevano la ruota per correre, uno di questi era esposto a esperienze stressanti, l’altro no. I ricercatori poi misurarono la forza e la stabilità delle connessioni e delle sinapsi tra i neuroni.   I test elettro-fisiologici dimostrarono che i topini esposti a stress che usavano la ruota e che , quindi, praticavano esercizio fisico presentavano una connessione molto più forte di quelli che non usavano la ruota. Poi, messi in un labirinto per testare la memoria, i topini stressati che facevano attività fisica ( correvano nella ruota) hanno  avuto un performance uguale a quella dei topini non stressati che correvano nella ruota. Mentre paragonando i risultati di tutti i topi che correvano contro tutti quelli sedentari si è visto che quelli che hanno usato la ruota hanno fatto meno errori nel labirinto della memoria. Ciò, insomma, per provare che l’esercizio fisico come la corsa di sicuro annulla gli effetti dannosi che lo stress procura al cervello e alla memoria.   “L’attività fisica è un modo semplice ed economico per eliminare l’impatto negativo dello stress sulla nostra memoria”, dice il direttore dello studio scientifico Jeff Edwards, professore associato di fisiologia e biologia dello sviluppo mentale alla Brigham Young University .   Lo studio ci indica i passi che possiamo compiere per limitare l’impatto dello stress sulla salute generale del cervello, anche se non possiamo rimuovere completamente lo stress dalle nostre vite.   “La situazione ideale per migliorare l’apprendimento e la memoria sarebbe vivere senza stress e praticare esercizio fisico”. afferma J. Edwards. “Certamente non possiamo controllare le varie situazioni di stress della nostra vita quotidiana, ma possiamo trovare tempo da dedicare all’esercizio fisico. Sta di fatto che ora sappiamo che possiamo combattere gli effetti negativi dello stress sul nostro cervello andando fuori e cominciando a correre”.     Lo studio condotto dai ricercatori è pubblicato sulla rivista Neurobiology of Learning an Memory.

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TRATTARE L’AGGRESSIVITA’ DELL’ALZHEIMER SENZA FARMACI

29 Gennaio 2019 at 15:37 ·

TRATTARE L’AGGRESSIVITA’ DELL’ALZHEIMER SENZA FARMACI

L’attività creativa è più utile sia per i malati di Alzheimer che per i loro caregivers

La demenza non ha cura. Nessun trattamento farmacologico è efficace. Quando è diagnosticata è facile arrendersi e prospettarsi  un futuro desolante. Non è solo una malattia devastante per il paziente, ma colpisce anche coloro che si prendono cura: i caregivers.

A volte i pazienti con demenza  diventano una persona totalmente diversa da quella che si conosce o si è sempre conosciuta. E non mancano gli scoppi di ira e i comportamenti aggressivi. Ecco perché i ricercatori  sperimentano cure e trattamenti non farmacologici che possono aiutare a gestire i sintomi dell’Alzheimer.

Tra questi ricercatori c’è chi ha provato un approccio soprannominato Programma di Attività su Misura ( PAM ), che abbina le attività agli interessi della persona con demenza.

I medici ricercatori hanno incluso nel programma dei loro studi circa 160 pazienti affetti da demenza con un età media di 80 anni. Hanno osservato anche i caregivers dei pazienti con un’età compresa tra i 50 e i 72 anni.

Programma di Attività su Misura

Lo studio consiste  nell’invio dei  terapisti occupazionali nelle case dei Malati di Alzheimer per valutare, innanzitutto, l’ambiente e quindi i rischi associati all’ambiente di casa quali il rischio di cadute; cercare quali cose potrebbero aumentare il disagio delle persone affette da demenza come: l’illuminazione, posti a sedere, disordine e rumori. Sulla base di tali visite, è stata fornita per ogni paziente una valutazione del rischio e delle “prescrizioni relative all’attività” che includevano sia attività creative (come la creazione artistiche). Sia attività incentrate sull’abilità quotidiane come il vestirsi, lavarsi, ordinare casa, etc.

Quattro mesi dopo l’avvio del PAM quasi il 70% dei pazienti sottoposti a terapie occupazionali ha eliminato e/o ridotto i problemi comportamentali, quali l’aggressività, correlati alla demenza.

Al contrario nel gruppo di controllo che non ha partecipato al programma di attività occupazionali solo il 46% ha ridotto o eliminato i problemi comportamentali. I caregivers dei pazienti sottoposti al PAM hanno rilevato meno stress durante la presa in carico del paziente. Dato che il familiare malato ha avuto un comportamento più collaborativo del solito.

Conclusioni

I ricercatori hanno concluso che l’intervento del trattamento non farmacologico per l’alzheimer ha avuto “effetti immediati e positivi”. – Scrivono i ricercatori: “Poiché l’attività creativa riduce i problemi comportamentali, rallenta la dipendenza funzionale e allevia il dolore e il disagio del caregiver, è un’opzione di trattamento valida per le famiglie.”

Particolarmente utile per le famiglie la cui persona cara sta vivendo intense problematiche comportamentali, in mancanza di trattamenti farmacologici efficaci per la demenza. I farmaci che vengono utilizzati di solito sono off-label e cioè “presentano rischi, tra cui ictus e mortalità, che spesso superano i loro modesti benefici” – affermano i ricercatori.

Questo studio è stato pubblicato sull’ America Journal Geriatrics Society

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MA COS’E’ L’ ALZHEIMER?

6 Dicembre 2016 at 09:21 ·

MA COS’E’ L’ ALZHEIMER?

Non è solo una malattia che non guarisce. E’ un mondo vero e proprio fatto di cure, farmaci, diagnosi, terapie, strutture sanitarie, angoscia, rabbia, deliri, speranza, affetto, amore. E’ un mondo fatto di persone che curano e curate.

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