Quello che i caregivers e gli Alzheimer desiderano di più: dormire.

28 Febbraio 2020 at 08:17 ·

Quello che i caregivers e gli Alzheimer desiderano di più: dormire.

Dormire è quello che i caregivers e i malati di alzheimer desiderano di più. La maggior parte dei pazienti affetti da demenza sperimenta un cambiamento del ciclo sonno/veglia. Il quale influisce sulla loro vita quotidiana e del familiare. Medici e scienziati sono d’accordo nell’affermare che i ritmi circadiani alterati compaiono anni prima dell’insorgere dell’Alzheimer.

I Pazienti che dormono durante il giorno frugano dappertutto e camminano durante la notte e tendono ad aumentare e/o a manifestare l’aggressività. Per trovare una soluzione e aiutare sia il paziente, sia il familiare, gli scienziati si sono posti il problema. Se impostare e personalizzare le condizioni di illuminazione potesse segnalare al cervello che è ora di dormire. Quindi, hanno applicato diverse condizioni di luce a 43 pazienti dementi concludendo che l’illuminazione personalizzata riduce significativamente i disturbi del sonno, la depressione e l’agitazione.

Se la luce/stimolo è dosata con cura, ha un forte impatto sul sonno, sulla depressione e agitazione e rimedia a quello che i caregivers e gli alzheimer desiderano di più.

ha affermato la direttrice dello studio condotto Mariana Figueiro, Ph.D., professoressa presso il Lighting Research Center del Rensselaer Polytechnic Institute di Troy, New York.

Inoltre, sono rimasta davvero colpita dell’impatto positivo dei “dosaggi di luce” sulla depressione, cosa che non era tra i principali obiettivi della ricerca.

L’esperimento consisteva nell’aggiunta di luci nei luoghi in cui i pazienti trascorrevano la maggior parte del loro tempo, accendendole durante le ore di veglia e spegnendo alle 18:00. Ogni paziente, poi, indossava un dispositivo che misurava la quantità di esposizione alla luce ricevuta.

La dott.ssa Figueiro ha sostituito la luce a incandescenza esistente nella struttura con una più ambientale: un po ‘come imitare una stanza piena di luce naturale. La luce che usavano era 10 volte più luminosa di quella che ha una normale casa, insieme a un pannello luminoso speciale per ogni letto. Le luci utilizzate erano di una luce più bluastra-bianca intorno ai 4000 K (candele).

Se dorme il paziente, può dormire il caregiver.

L’illuminazione personalizzata aumenta il sonno e migliora l’umore dei pazienti con Alzheimer e, poiché il sonno del paziente influisce sul sonno del caregiver, impostare in maniera adeguata le luci migliora la vita ai caregiver. Circa il 70 percento dei pazienti malati l’Alzheimer vive a casa con un caregiver. I ricercatori sperano che la loro scoperta possa fornire un sollievo sintomatico e provvedere a quello che i caregivers e gli alzheimer desiderano di più: dormire.

Fonte: https://www.sleepmeeting.org/abstract-supplements/

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Diagnosticare l’Alzheimer dagli esami del sangue.

26 Febbraio 2020 at 07:11 ·

Diagnosticare l’Alzheimer dagli esami del sangue.

Ricercatori coreani hanno sviluppato un bio-sensore che diagnostica l’Alzheimer dall’esame del sangue.

I ricercatori hanno sviluppato un altro esame del sangue che può aiutare a diagnosticare la malattia l’Alzheimer. L’analisi del sangue è in grado di rilevare i biomarcatori chiave della malattia neurodegenerativa nel plasma, il liquido presente nel sangue.

Il test, sviluppato dai ricercatori del Korea Advanced Institute of Science and Technology (KAIST), coinvolge un biosensore elettrico multiplex considerato altamente sensibile. Il biosensore è in grado di identificare i biomarcatori dell’Alzheimer tra cui beta-amiloide42, beta-amiloide40, proteina tau totale e proteina tau fosforilata.

Comparando gli esami del sangue dei pazienti con Alzheimer rispetto a soggetti sani, i ricercatori hanno scoperto che il test ha un’accuratezza media dell’88%.

Esame del sangue per diagnosticare l’Alzheimer.

Nello studio, i ricercatori hanno notato che i principali segni distintivi patologici dell’Alzheimer comprendono placche beta-amiloidi e grovigli neurofibrillari, nonché aggregazione di proteina tau. I livelli di amiloide e tau nel cervello tendono a cambiare e ad aumentare anni prima che compaiano i sintomi.

Fino a poco tempo fa, i medici si affidavano all’autopsia per rivelare l’accumulo di queste proteine nel cervello e diagnosticare ufficialmente l’Alzheimer. Sempre più, l’uso di scansioni PET e di campioni di liquido cerebrospinale ha reso più facile per i medici diagnosticare l’Alzheimer prima della morte, e talvolta anche prima che compaiano i principali sintomi. Essere in grado di identificare precocemente l’amiloide nel cervello velocizza le diagnosi, anticipa l’accesso del paziente ai trattamenti e ritarda la malattia.

Ricerche recenti hanno anche dimostrato che questi biomarcatori si manifestano anche nel plasma sanguigno, in correlazione con i cambiamenti del cervello. I ricercatori hanno quindi deciso di concentrarsi sul sangue come potenziale strumento di rilevamento.

Non è una novità, comunque. Altri esami del sangue per diagnosticare l’Alzheimer sono stati sviluppati prima di questi studi e alcuni hanno avuto un’accuratezza del 100%.

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L’olio di semi di soia ha effetti negativi per la salute?

21 Febbraio 2020 at 14:30 ·

L’olio di semi di soia ha effetti negativi per la salute?

Quali sono gli effetti sulla salute del cervello.

L’olio a base di semi di soia è uno dei tipi più popolari di oli usati. Spesso è presente in fast food, alimenti confezionati e alimenti per bestiame. Nell’esperimento condotto dall’Università della California (UC) Riverside, i ricercatori hanno trovato un legame tra l’olio di semi di soia e gli effetti sulla salute del cervello dei topi da laboratorio.

Negli ultimi anni, dietisti e ricercatori hanno esaminato gli effetti sulla salute umana di vari tipi di olii ad alto contenuto di grassi, soprattutto, sulla salute del cuore e sull’obesità. Tutti gli oli, come olio di arachidi, soia, sesamo, oliva, avocado, hanno livelli variabili di acidi grassi saturi, mono-insaturi e polinsaturi.

L’olio d’oliva, ad esempio, è ricco di grassi, ma di tipo “buono”, noti come grassi insaturi. L’olio d’oliva è considerato un pilastro della dieta mediterranea, ed è considerato per i suoi benefici nella lotta alle malattie cardiovascolari e persino all’Alzheimer.

Gli stessi ricercatori del nuovo studio hanno esaminato l’olio di semi di soia nel 2015 per il suo potenziale contributo all’obesità e al diabete. Il consumo di olio di soia è aumentato in modo significativo negli ultimi decenni, presente in condimenti per insalate, margarine e cibi fritti.

Ma da altri esperti, è considerato salutare per il cuore e nel 2017 la FDA ha certificato la qualità e i benefici sulla salute esattamente come altri oli ad alto contenuto oleico come l’olio d’oliva.

Gli effetti dell’olio di soia sulla salute del cervello.

Nell’ultimo studio, i ricercatori testano gli effetti dell’olio di soia sui topi, confrontandoli con gli effetti dell’olio di semi a basso contenuto di acido linoleico e dell’olio di cocco. Entrambi i tipi di olio sembravano mostrare lo stesso impatto sul cervello. Si nota esattamente una certa variazione nell’ipotalamo, la regione del cervello che è associata a una serie di funzioni come peso corporeo, metabolismo, temperatura corporea, riproduzione e risposta allo stress.

I risultati della ricerca dimostrano che alcuni geni nei topi a cui era stato somministrato olio di soia non funzionavano correttamente, identificandone circa 100. Si nota che un gene particolare che produce ossitocina, noto anche come “ormone della felicità”, è alterato nei topi che hanno assunto olio di semi di soia. Tra questi topi, i livelli di ossitocina erano inferiori al normale.

Quando i ricercatori hanno testato l’olio di cocco sui topi, hanno scoperto che non produceva così tanti cambiamenti genetici nell’ipotalamo come l’olio di soia. Considerando che l’olio di semi di soia è consumato da molti, gli scienziati sostengono che le loro scoperte potrebbero avere conseguenze sulla salute pubblica.

Come spesso accade negli studi condotti su topi o animali, però, i ricercatori sono cauti e affermano che:

Anche se si ritiene l’olio di soia colpevole di cambiamenti cerebrali negativi, non è ancora possibile trarre una conclusione definitiva. Non si può dedurre molto fino a quando lo stesso test non verrà eseguito sull’uomo e produrrà risultati simili.

Gli altri prodotti alla soia

Detto questo,

Non gettare il tuo tofu, latte di soia o salsa di soia,

ha affermato Frances Sladek, tossicologa della UC Riverside e professore di biologia cellulare, in un comunicato stampa.

In effetti, sebbene l’olio di soia provenga da semi di soia, ciò non significa che tutti i prodotti contenenti soia siano dannosi per la salute.

Questa ricerca può aiutare a produrre in futuro oli alimentari più sani,

ha detto Poonamjot Deol, un scienziato del progetto e autore dello studio,

La regola è che il grasso saturo è cattivo e il grasso insaturo è buono. L’olio di semi di soia è un grasso polinsaturo, ma l’idea che faccia bene non è stata mai provata.

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Gli occhi sono la finestra del cervello.

18 Febbraio 2020 at 17:15 ·

Gli occhi sono la finestra del cervello.

Con un semplice esame oculistico i medici potrebbero prevenire perdite di memoria e demenza.

E se tutto ciò che sarebbe necessario per prevedere i problemi di memoria fosse un semplice esame oculistico? Osservando la retina con speciali strumenti di imaging, i medici potranno prevedere il rischio di sviluppare perdita di memoria e demenza in futuro.

Un nuovo studio ha scoperto che le persone, i cui occhi hanno mostrato piccoli cambiamenti nei vasi sanguigni all’età di 60 anni, potrebbero avere maggiori probabilità di sviluppare problemi cognitivi all’età di 80 anni. Secondo gli autori dello studio, i piccoli vasi sanguigni riflessi negli occhi potrebbero essere una traccia di ciò che sta succedendo nel cervello.

I piccoli vasi sanguigni danneggiati nel cervello sono probabilmente un fattore importante nel declino cognitivo tanto quanto la calcificazione delle arterie più grandi. Ma non abbiamo la capacità di osservare questi piccoli vasi con l’imaging cerebrale,

ha detto il ricercatore Jennifer A Deal, Ph.D., della Johns Hopkins University di Baltimora.

Poiché i vasi sanguigni nell’occhio e nel cervello sono anatomicamente molto simili, abbiamo ipotizzato che osservare i vasi sanguigni nell’occhio ci avrebbe aiutato a capire cosa stava succedendo nel cervello.

Dall’esame oculistico si può diagnosticare la demenza 20 anni prima che appaia.

Questa non è la prima volta che gli occhi hanno dimostrato di contenere indizi per una diagnosi di demenza. Uno studio del 2014 ha scoperto che la retina si assottiglia prima dell’inizio della demenza frontotemporale, un tipo di malattia che colpisce molto prima dei 60 anni e che costituisce dal 10% al 15% dei casi di demenza. I ricercatori hanno descritto l’occhio come una “finestra sul cervello”. Un piccolo studio del 2017 ha mostrato che la beta-amiloide, la proteina tossica associata alla malattia di Alzheimer, si presentava negli occhi nello stesso modo in cui si presentava nel cervello e poteva essere rilevato fino a 20 anni prima che i sintomi iniziassero.

Cosa si può osservare dalla retina?

Sebbene la retina sia rivolta verso l’esterno, è costituita da neuroni che comunicano direttamente con il cervello. L’osservazione della retina è un modo semplice e accessibile per tenere traccia di ciò che potrebbe accadere nel cervello.

I ricercatori hanno osservato gli occhi di 12.317 persone in 20 anni. Hanno dato loro test di memoria e di pensiero e hanno fotografato i loro occhi usando una speciale fotocamera retinica. Di tutte le persone analizzate, circa il 5% presentava una sorta di danno alla retina. Le persone con danno moderato/grave avevano un calo del punteggio nei test di memoria. Per quelle persone, i loro punteggi medi sui test sono diminuiti di 1,22 punti per 20 anni, rispetto a un declino di 0,91 punti per le persone con occhi sani.

Se i risultati saranno confermati, dalla differenza tra una retina integra e una danneggiata si potrebbero fornire stime ragionevoli di quanti piccoli danni ai vasi sanguigni nel cervello stiano contribuendo al declino cognitivo.

Naturalmente, questo è uno studio osservazionale, nel senso che ciò non significa necessariamente che il danno ai vasi sanguigni è causa o effetto del declino delle capacità cognitive. I ricercatori hanno anche notato che lo studio è limitato perché è stato fotografato un solo occhio.

Fonte: https://n.neurology.org/content/90/13/e1158

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“Chaperon” per la cura dell’Alzheimer spazza via le proteine dannose.

14 Febbraio 2020 at 08:33 ·

“Chaperon” per la cura dell’Alzheimer spazza via le proteine dannose.

Una molecola frena la progressione della malattia.

Oggi apprendiamo che chaperon molecolare è una molecola che spazza via dal cervello le proteine Beta-amiloidi ritenute responsabile dello sviluppo della Malattia di Alzheimer.

Curioso il fatto che il termine chaperon, decenni fa, indicava una donna anziana che accompagnava una giovane nubile di buona famiglia in pubblico.

Da una ricerca pubblicata sulla rivista Molecular Neurodegeneration, i ricercatori della Temple University di Filadelfia descrivono quello che hanno scoperto: un “nuovo chaperon molecolare in grado di prevenire la malattia di Alzheimer negli animali inclini a sviluppare il morbo”.

Per la prima volta in assoluto i ricercatori affermano che un farmaco a base di chaperon molecolare può interrompere efficacemente i processi anormali. Quelli che danneggiano i neuroni e alimentano la perdita di memoria e alla fine causano la malattia di Alzheimer.

Nel corpo, le proteine cellulari sono intrinsecamente instabili e possono spesso deformarsi. Nei cervelli sani, la molecola VPS35 agisce come selezionatore ovvero come “accompagnatore”, separa le proteine disfunzionali e vecchie, e le spazza via dal cervello.

Come funziona.

In un precedente studio, i ricercatori dimostrarono che quel VPS35 spazza via dal cervello le proteine potenzialmente dannose come beta amiloide e tau. Ma nell’Alzheimer i livelli di VPS35 sono ridotti, il che consente l’accumulo di proteine amiloidi e grovigli di tau che degradano la funzione neurologica.

“Il nostro farmaco chaperone ha specificamente ripristinato i livelli di una molecola di smistamento nota come VPS35”,

ha detto in un comunicato stampa il dott. Domenico Praticò, ricercatore senior del nuovo studio e direttore del Centro Alzheimer a Temple.

Praticò chiarisce che gli chaperon molecolari sono più economici, rispetto ad altre terapie in via di sviluppo per l’Alzheimer, e alcuni sono già stati approvati per il trattamento di altre malattie

“Questi farmaci non bloccano un enzima o un recettore, ma colpiscono un meccanismo cellulare. Questo significa che esiste una percentuale molto più bassa di effetti collaterali”.

Nella nuova ricerca, i ricercatori hanno studiato gli effetti degli chaperon molecolari sullo smistamento delle proteine nei topi da laboratorio affetti da malattia di Alzheimer. I ricercatori hanno somministrato gli chaperon nei topi in giovane età, prima che iniziassero a mostrare segni del morbo. Man mano che gli animali crescevano, venivano testati gli effetti sulla memoria e sull’apprendimento.

Rispetto ai topi non trattati con lo chaperon, i ricercatori scoprono che gli animali trattati avevano una memoria migliore e si comportavano proprio come i topi normali.

Quando i ricercatori hanno esaminato i neuroni dei topi trattati, hanno riscontrato significative riduzioni dei grovigli di tau, nonché riduzioni delle placche beta-amiloidi. Inoltre, hanno scoperto che i livelli di VPS35 sono ripristinati e che le sinapsi erano perfettamente funzionanti dopo la terapia farmacologica con chaperon.

I test sull’uomo, però, non sono imminenti:

“Poiché la nostra indagine più recente è stata una sperimentazione, vogliamo sapere ora se questa terapia potrebbe anche funzionare come trattamento per i pazienti già con diagnosi di malattia di Alzheimer”,

ha detto Praticò.

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Un profumo di una rosa è il profumo di rosa.

14 Febbraio 2020 at 02:10 ·

Un profumo di una rosa è il profumo di rosa.

Perché due persone diverse con cervelli diversi concordano nel riconoscere lo stesso profumo?

In un nuovo studio, gli scienziati della Columbia hanno scoperto perché il sistema olfattivo del cervello è così notevolmente coerente tra gli individui. Anche se il cablaggio delle cellule cerebrali in questa regione differisce notevolmente da persona a persona il profumo di una rosa è il profumo di una rosa.

Per risolvere questo paradosso, i ricercatori hanno sviluppato un modello matematico dimostrando che due persone non devono aver precedentemente annusato gli stessi odori per concordare quali profumi stanno annusando. Invece, ognuno di loro saprà riconoscere nuovi odori simili tra loro (come due fiori diversi) se, e solo se, li ha già sentiti prima.

Due persone diverse hanno due diversi cervelli.

Molte neuroni nel nostro sistema olfattivo sono collegati in modo casuale. Significa che i neuroni che si attivano quando sento il profumo di una rosa sono diversi dai tuoi.

Allora perché siamo entrambi d’accordo con certezza su cosa stiamo odorando?

Creando questo modello matematico, potremmo rilevare, per la prima volta, i modelli che sono alla base di un’attività apparentemente casuale, rivelando una coerenza matematica ai nostri cervelli quando identificano i profumi.

Il viaggio che un profumo fa dal naso al cervello è un labirinto. Quando un odore entra nella cavità nasale, proteine specializzate chiamate recettori olfattivi inviano informazioni su quel profumo al bulbo olfattivo.

In una serie di studi pionieristici degli anni ’90, Richard Axel, MD, codirettore del Zuckerman Institute della Columbia e coautore della rivista Neuron, ha scoperto gli oltre 1.000 geni che codificano per questi recettori olfattivi. Questo lavoro, che è stato eseguito insieme alla sua collega Linda B. Buck, PhD, è valso a entrambi il premio Nobel 2004 per la fisiologia o la medicina.

Riconosciamo i profumi per “generalizzazione”.

Lo studio più recente si concentra su come le informazioni dal bulbo olfattivo, vengono interpretate in una regione del cervello chiamata corteccia piriforme. La corteccia piriforme è una struttura cruciale per l’elaborazione dei profumi. Poiché, non esistono due tipi di odori identici (esattamente come i fiocchi di neve! ndr), il cervello deve creare associazioni tra odori simili. Questo processo, chiamato generalizzazione, è ciò che aiuta il cervello a riconoscere i profumi.

La generalizzazione è fondamentale perché ti consente di prendere il ricordo di un profumo precedente – come la rosa – e collegarlo all’odore della rosa che stai odorando.

Tuttavia, poiché gli scienziati hanno formulato la teoria della generalizzazione, sono rimasti perplessi da due caratteri paradossali della corteccia piriforme. In primo luogo, l’attività neurale nella corteccia piriforme sembrava casuale, senza logica o organizzazione apparente. Quindi, i ricercatori non potevano sviluppare un modello di attività neurale a ogni tipo di profumo.

E in secondo luogo, la stessa corteccia piriforme sembrava troppo grande: gli scienziati hanno avuto la possibilità di contare solo circa 50.000 dei circa un milione di neuroni della corteccia piriforme nel cervello umano.

Perché ci sono così tanti neuroni in questa parte del cervello?

I ricercatori hanno sviluppato un modello matematico che offre una soluzione a entrambi i paradossi: due cervelli potrebbero effettivamente concordare su una classe di profumi (cioè se sono fiori profumati o immondizia puzzolente) se l’attività neuronale proviene da un pool abbastanza ampio di neuroni.

L’idea è simile al crowdsourcing, per cui persone diverse analizzano ciascuna una parte di una domanda complessa. Tale analisi viene quindi raggruppata in un hub centrale.

Questo è analogo a ciò che accade nella corteccia piriforme: i diversi modelli di attività neurale generati da questo milione di neuroni, seppur incompleti da soli, quando combinati danno un quadro completo di ciò che il cervello sta odorando.

Testando questa formula sui dati raccolti da esperimenti con i moscerini da frutta, si è dimostrato che l’attività neurale aiuta due persone a concordare odori comuni, anche con un’esperienza comune differente.

Donna che annusa una rosa
I neuroni che si attivano quando odoriamo una rosa cambiano da persona a persona. Ma tutti sentiamo lo stesso profumo di rosa.

L’esperienza mette d’accordo.

Gli scienziati hanno a lungo sostenuto che due cervelli devono condividere un punto di riferimento comune, come ad esempio se ciascuno di loro avesse già annusato una rosa, al fine di identificare lo stesso profumo. Ma questo modello suggerisce che il punto di riferimento può essere qualsiasi cosa: il ricordo del profumo di una rosa può aiutare due persone a concordare sull’odore del caffè.

In altre parole anche la più piccola esperienza comune sembra riallineare il cervello, in modo tale che, mentre la mia attività neurale è diversa dalla tua, l’associazione che facciamo tra due profumi correlati – come i fiori – è simile per entrambi.

Questo modello, pur dando un’idea di un paradosso della percezione, evidenzia un’eleganza di fondo per il sistema olfattivo: nonostante contenga neuroni, ricordi ed esperienze diverse, due cervelli possono ancora raggiungere un accordo.

Tu e io non abbiamo bisogno di annusare ogni tipo di odore nel mondo per raggiungere un accordo su ciò che stiamo annusando. Finché abbiamo un po’ di esperienza comune, è abbastanza.

Fonte: https://www.cell.com/neuron/fulltext/S0896-6273(18)30288-5

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Un nuovo farmaco per la cura dell’Alzheimer.

7 Febbraio 2020 at 08:55 ·

Un nuovo farmaco per la cura dell’Alzheimer.

Migliora l’attività dei neuroni, l’apprendimento e la memoria.

In una nuova ricerca scientifica, gli scienziati hanno testato un farmaco molto promettente per la cura dell’Alzheimer. Il farmaco stimola una piccola molecola che si trova tra le cellule cerebrali e aumenta la funzione dei recettori dei neurotrasmettitori (NMDA).

Sfruttando la connessione tra le cellule cerebrali o neuroni, i recettori NMDA svolgono un ruolo nella cognizione e nella memoria. Infatti, i ricercatori sanno da tempo che la compromissione dei recettori NMDA è associata al declino cognitivo e all’accumulo di amiloide nei pazienti con Alzheimer. Inoltre, sono anche collegati ad altre malattie neuropsichiatriche e neurodegenerative croniche, nonché all’epilessia.

Somministrando il nuovo farmaco per la cura dell’Alzheimer, l’attività nei recettori sinaptici NMDA migliora. Migliorano anche la memoria e le onde cerebrali che rivelano il ritmo del cervello.

I ricercatori hanno testato il farmaco (chiamato semplicemente GNE-0723) in questa fase iniziale, su topi affetti da Alzheimer e sindrome di Dravet, una rara forma di epilessia. GNE-0723 agisce riducendo le onde a bassa frequenza nel cervello, un tipo di attività che diventa più frequente nella malattia di Alzheimer e nella sindrome di Dravet.

La riduzione delle “onde” comporta un miglioramento della cognizione e della memoria e interrompono l’attività epilettica nei topi da sperimentazione. Dopo essere stati in cura per diverse settimane hanno effettivamente mostrato miglioramenti nell’apprendimento e nei test di memoria rispetto a quelli non trattati.

A che punto siamo con la ricerca?

Attualmente, la ricerca per trovare un nuovo farmaco per la cura dell’Alzheimer è divisa in diversi campi. Alcuni farmaci, diversamente dal GNE-0723, mirano all’accumulo di beta-amiloide, che è ancora considerato uno delle principali cause della malattia. L’aducanumab di Biogen, che combatte l’amiloide, ha mostrato risultati promettenti in dati recenti ed è in attesa di approvazione.

Altre studi scientifici mirano a sviluppare farmaci che combattono la proteina tau, l’infiammazione o la genetica che contribuiscono alla malattia. L’ultima ricerca, nel frattempo, può aprire una strada per una potenziale terapia che si affina su una parte specifica del cervello: i recettori NMDA.

Prima d’ora non avevamo gli strumenti ideali per migliorare i recettori sinaptici NMDA. Ora, la capacità di indirizzare in modo specifico questi recettori apre molte nuove possibilità per il trattamento dei disturbi cognitivi.

Ha affermato il Direttore capo dello commissione di ricerca dott. Jorge Palop.

Fonte: https://medicalxpress.com/news/2020-01-small-molecule-alzheimer-disease-dravet.html

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Alzheimer precoce: 5 segni da riconoscere e affrontare

31 Gennaio 2020 at 08:22 ·

Alzheimer precoce: 5 segni da riconoscere e affrontare

La malattia di Alzheimer precoce inizia ad apparire tra i 45 e i 64 anni. Per coloro che sono preoccupati da un esordio precoce del morbo, E’ consigliato parlarne se si nota qualcosa che non va: se vedi qualcosa che non va con i tuoi cari consulta un medico. E, insisti! Molti medici, infatti; non sono appositamente formati per individuare i primi segni del morbo di Alzheimer.

Ecco alcuni dei principali sintomi dell’Alzheimer a esordio precoce da tenere in considerazione se qualcosa non va nella tua salute cognitiva o di quella di una persona cara in giovane età.

1. I sintomi appaiono prima dei 60 anni.

Il segnale più distintivo della malattia di Alzheimer precoce è il momento in cui i sintomi compaiono per la prima volta. La forma più comune di Alzheimer, l’Alzheimer a esordio “senile” , in genere inizia a mostrare segni quando una persona ha 60 anni o più.

Invece, l’Alzheimer precoce può iniziare ad avere effetti già dai 30 e 40 anni. In genere, viene diagnosticato l’Alzheimer “giovanile” ai 40 o 50 anni.

2. Dimenticanza e perdita di memoria.

Mentre dimenticare dove hai messo le chiavi della tua auto può accadere a chiunque ed a qualsiasi età – e forse un po’ di più in età avanzata – l’oblio persistente o la perdita di memoria è in genere un segnale di allarme. Le persone affette da Alzheimer “giovanile”, iniziano ad avere vuoti anomali e cronici nella memoria già dai 30 o 40 anni.

Se ti è capitato di non sapere dove ti trovi e/o come ci sei arrivato; se fatichi a trovare le parole giuste quando parli o dimentichi costantemente ciò che il tuo amico/ moglie o marito ti ha chiesto di fare, anche se ti senti troppo giovane per avere l’Alzheimer, questi potrebbero essere alcuni sintomi di declino precoce della memoria.

3. Attenzione e disturbi del linguaggio.

L’Alzheimer precoce è caratterizzato dalla difficoltà di memorizzare e ricordare, ma gli eventi che danno maggiore preoccupazione sono molto più ampi. In effetti, gli esperti affermano che la perdita di memoria, che è strettamente associata all’Alzheimer, potrebbe effettivamente essere un sintomo meno importante nelle persone con Alzheimer precoce. Infatti, le persone con Alzheimer “giovanile” spesso si lamentano delle difficoltà a trovare le parole quando dialogano. Sperimentano problemi di attenzione e di orientamento, nonché problemi nel fare un semplice calcolo.

Nel complesso, i pazienti con malattia di Alzheimer precoce, rispetto ai pazienti con malattia di Alzheimer a esordio senile, conseguono punteggi migliori sui test della memoria e memoria semantica, ma peggiori sui test dell’attenzione, linguaggio, funzioni esecutive, prassi motoria e capacità spaziali

fonte: ricerca del Dr. Mario Mendez.

4. Cambiamenti di personalità e sbalzi di umore.

Il proprio caro potrebbe mostrare cambiamenti di personalità e sbalzi di umore. Potresti notare in tua moglie/ marito, mamma/papà o nonna/o che ha un’attività instancabile, improvvisamente lamentarsi di essere stanca/o tutto il tempo e di non essere in grado di destreggiarsi più di quanto aveva fatto abitualmente.

5. Abbandonare il lavoro e la vita sociale.

Le persone con Alzheimer precoce, che una volta erano industriose e concentrate nei loro lavori difficili, iniziano ad avere un calo di concentrazione, motivazione o produttività mai avuti prima. Potrebbero anche trovarsi a isolarsi dalla famiglia, dagli amici, dai colleghi o dagli hobby ai quali prima era molto legato.

Affrontare i sintomi dell’Alzheimer precoce.

Fortunatamente, ci sono delle modalità per iniziare a trattare i sintomi di Alzheimer precoce una volta che è stato diagnosticato, e per affrontare la malattia.

I familiari, innanzi tutto, devono sostenere il proprio caro/a se manifesta questi sintomi in età giovanile, nel senso che bisogna credergli quando si lamenta che c’è qualcosa che non va, non sottovalutare le sue preoccupazioni, ma approfondire la questione. Questo perché, se non lo fa il familiare, i medici di base spesso non avendo una formazione specializzata, possono non comprendere i primi sintomi della demenza e in genere trascorrono poco tempo con i loro pazienti da poter notare i primi segnali.

È molto importante approfondire le problematiche perché altre malattie curabili causano sintomi simili alla demenza. Il deficit dell’attenzione non curato, spesso, può sembrare una demenza precoce. In altri casi, sia problemi gastrointestinali che le reazioni negative ad alcuni farmaci, possono avere sintomi simili ad una demenza precoce.

Chiedi al tuo dottore.

Il primo passo è verificare con il proprio medico e chiedere un test di memoria o un test delle funzioni cognitive. Una volta che tu o la persona siete stati valutati, il medico di base dovrebbe rivolgersi a uno specialista in demenza per eseguire ulteriori test e, in definitiva, arrivare a una diagnosi.

Un motivo fondamentale per affrontare i primi segni di demenza precoce è il fatto che gli esperti affermano che i cambiamenti nello stile di vita – dieta, esercizio fisico e altre fasi – aiutano a ritardare l’insorgenza della demenza completa.

In una recente ricerca, gli scienziati hanno scoperto che un piano di prevenzione personalizzato, che tiene conto del sonno, dell’esercizio fisico, della dieta, degli integratori e della socializzazione, migliora la salute del cervello.

Per chi ha ricevuto una diagnosi di Alzheimer precoce, non tutto è perduto: parla con uno specialista per avere un piano sanitario personalizzato che ti aiuti ad affrontare i sintomi e prenditi cura della tua salute del cervello per vivere la vita al massimo.

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Come prevenire la demenza. Le linee guida dell’OMS.

24 Gennaio 2020 at 07:36 ·

Come prevenire la demenza. Le linee guida dell’OMS.

5 modi approvati dall’Organizzazione Mondiale della Sanità per prevenire la demenza.

Ci sono delle azioni concrete che ognuno di noi può fare per prevenire la demenza. L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha divulgato di recente un rapporto (disponibile qui ) con i suoi principali consigli. Con dozzine di modi scientificamente testati per ritardare il decadimento cognitivo.

50 milioni di persone nel mondo sono affette da demenza, circa 10 milioni di nuovi casi ogni anno, secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità (un dato che tenderebbe a triplicarsi entro il 2030).

“Ci sono alcune cose che possiamo fare che forse non impediranno, per esempio, di prevenire definitivamente la malattia di Alzheimer, ma che potrebbero ritardarne l’insorgenza e rallentarne la progressione”

ha affermato il dott. Ronald Petersen, direttore della Mayo Clinic Alzheimer’s Disease Research.

Il rapporto in breve indica: uno stile di vita sano, pieno di esercizio fisico frequente, una dieta ricca di nutrienti, smettere di fumare e l’impegno nel sociale, proteggono il cervello dal declino. (Nota: l’OMS esclude che gli integratori, come la vitamina B o E, prevengono la demenza).

Come ridurre i fattori di rischio e la cause di demenza

Ecco cinque modi scientificamente provati per ridurre il rischio, prevenire la demenza e ritardarne l’insorgenza:

Fare attività fisica regolarmente.

Le persone che si allenano regolarmente hanno meno probabilità di contrarre la demenza, secondo uno studio del 2019 pubblicato su Psychol Med. Per le persone di età superiore ai 65 anni, l’OMS suggerisce un obiettivo di esercizio di 150 minuti o più di esercizio aerobico a settimana.

Quindi, 50 minuti tre volte, 30 minuti cinque volte a settimana; camminare vigorosamente, nuotare, fare jogging se si è in grado di farlo.

Per un’efficacia ottimale, l’esercizio fisico dovrebbero durare almeno 10 minuti prima di fare una pausa.

Non riesci a seguire questo consiglio a causa di limitazioni fisiche? Nessun problema. Anche piccoli sforzi contano. Il rapporto dell’OMS indica, infatti, che gli adulti dovrebbero essere “fisicamente attivi tanto quanto le loro capacità e condizioni lo consentono”.

Anche solo fare una passeggiata riduce il rischio del 60 per cento.

Seguire una dieta equilibrata.

Frutta fresca, verdura, legumi (ad es. Lenticchie, fagioli), noci e cereali integrali (ad es. Avena e riso integrale), sono funzionali per prevenire la demenza.

Inoltre la dieta mediterranea è ricca di antiossidanti e omega-3 che hanno scientificamente dimostrato di proteggere il cervello. E migliorano la memoria verbale e visiva, secondo uno studio del 2018.

Quindi una dieta che è generalmente salutare per il cuore è probabilmente la migliore per la tua alimentazione generale e per il cervello.

Smettere di fumare.

Il rapporto dell’OMS indica che il fumo provoca danni al cervello che portano al successivo declino cognitivo. Soprattutto per i fumatori di età superiore ai 65 anni.

Per smettere, l’OMS suggerisce interventi combinati sia comportamentali, sia mediche che farmacologici tra cui la terapia sostitutiva della nicotina, bupropione e vareniclina.

Bere alcol moderatamente ( o non bere proprio).

Bere alcolici contribuisce all’insorgere della demenza e dovrebbe essere evitato. Secondo gli studi, bere in maniera moderata (cioè un bicchierino di alcol al giorno per una donna e due bicchieri per un uomo) non è associato a un rischio più elevato. Ma l’OMS riferisce che non ci sono prove concrete che il consumo moderato di alcol, in effetti, per evitare la demenza.

In generale, non consigliamo alle persone di iniziare a bere se non bevono. Ma d’altra parte, se bevi, sii moderato.

Socialità e attività intellettuale.

L’isolamento sociale è causa di depressione e di declino cognitivo più rapido, in particolare nelle persone anziane, riferisce l’OMS. Ma l’impegno sociale riduce il rischio di demenza, secondo un rapporto del 2017 della Commissione Lancet su prevenzione, intervento e cura della demenza.

In breve, fai amicizia e resta attivo intellettualmente. Cerca serate di gioco, club del libro o viaggi di gruppo nei musei.

“Pensiamo che le persone che rimangono più intellettualmente attive possano avere un rischio inferiore di sviluppare deficit cognitivo”.

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I nottambuli devono modificare il proprio “orologio” interno.

11 Giugno 2019 at 17:58 ·

I nottambuli devono modificare il proprio “orologio” interno.

Per incrementare il benessere mentale e prevenire danni al cervello.

Un semplice cambiamento del proprio stile di vita aiuta a ripristinare l’orologio circadiano contribuendo a migliorare la salute fisica e mentale di coloro che non si addormentano facilmente.

Una nuova ricerca internazionale dell’ Università di Birmingham ha dimostrato che, in un periodo di sole tre settimane, si può spostare il ritmo circadiano del “sonnambulismo” usando interventi non farmacologici e pratici.

Lo studio pubblicato in Sleep Medicine , dimostra come i partecipanti agli esperimenti della ricerca siano stati in grado di anticipare i tempi di sonno/veglia senza avere nessuna diminuzione delle ore di sonno. Inoltre i partecipanti, per la durata della sperimentazione, hanno notato minore stress, minori sensazioni legate alla depressione e diminuita la sonnolenza diurna.

“I risultati della ricerca evidenziano la capacità di un semplice intervento non farmacologico su stadi avanzati di sonnambulismo, per ridurre gli effetti negativi sulla salute mentale e sonnolenza, nonché migliorare le prestazione nel mondo reale”

ha detto la ricercatrice Dr Elise Facer dell’Istituto di Turner Institute for Brain and Mental Health della Monash University.

Chi soffre di sonnambulismo?

I nottambuli sono individui il cui orologio del corpo interno detta tempi di sonno e veglia più tardivi del solito – in questo studio i partecipanti e in genere tutti i sonnambuli – hanno un orario di riposo medio alle 2:30 e un orario di sveglia alle 10,15.

Disturbi dell sistema sonno / veglia sono collegati, evidentemente, a una varietà di problemi di salute, tra cui sbalzi d’umore, aumento della morbilità e dei tassi di mortalità e declino nelle prestazioni cognitive e fisiche.

Avere un ritmo del sonno tardivo ti mette in contrasto con i normali giorni sociali, tali contrasti possono portare a una serie di effetti negativi – dalla sonnolenza diurna a un ridotto benessere mentale.

dice il co-autore dello studio Andrew Bagshaw dell’Università di Birmingham.

Volevamo vedere se c’erano cose semplici che le persone potevano fare a casa per risolvere questo problema. E li abbiamo trovati, consentendo alle persone di dormire e svegliarsi circa due ore prima rispetto a prima. La parte più interessante dello studio è che è stato possibile associare un regolare ritmo sonno/sveglia a miglioramenti della salute mentale e alla sonnolenza percepita. Un risultato molto positivo per i sonnambuli. Ora dobbiamo capire in che modo i modelli abituali del sonno sono correlati al cervello, come questo si collega al benessere mentale e se gli interventi portano a cambiamenti a lungo termine.

Cosa fare se si è “sonnambuli”?

Ai 22 partecipanti all’esperimento è stato chiesto di fare un semplice cambiamento nel loro stile di vita:

  • Svegliarsi 2-3 ore prima del solito e sfruttare al massimo la luce di Dio durante la mattinata;
  • andare a letto 2-3 ore prima del solito e limitare l’esposizione alla luce la sera – soprattutto quella artificiale;
  • mantenere i ritmi di sonno/veglia fissi sia nei giorni di lavoro, ma anche nei giorni liberi;
  • fare colazione il prima possibile dopo essersi svegliati, pranzare ogni giorno alla stessa ora e non cenare dopo le 19:00.

I risultati hanno evidenziato un aumento delle prestazioni cognitive (tempo di reazione) e fisiche (forza e resistenza nelle attività quotidiane) durante la mattinata, quando la stanchezza è spesso molto alta nei “nottambuli”, nonché un cambiamento nei tempi di picco delle prestazioni dalla sera a pomeriggio. E’ aumentato, anche, il numero delle colazioni è stata consumate e un migliore benessere mentale, una diminuzione delle sensazioni di stress e depressione.

Stabilire una routine semplice può aiutare i nottambuli a regolare i loro orologi biologici e migliorare la loro salute fisica e mentale complessiva. Insufficienti livelli di sonno e disallineamento circadiano possono disturbare molti processi corporei, aumentando il rischio di malattie cardiovascolari, cancro e diabete.

I “nottambuli”, rispetto ai “mattinieri” tendono ad essere più suscettibili nella nostra società a causa del dover adattare orari di lavoro/scuola che non sono sincronizzati con le loro abitudini. Riconoscendo questi limiti e avere strumenti per migliorare, si può vivere più serenamente in una società che ci mette costantemente sotto pressione per ottenere produttività e prestazioni ottimali.

Un semplice cambiamento dello stile di vita dei “nottambuli” migliora le prestazioni al mattino, migliorano le abitudini alimentari e diminuiscono la depressione e lo stress.

Fonte: Resetting the late timing of ‘night owls’ has a positive impact on mental health and performance

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