L’importanza di raccontare i ricordi.

8 Marzo 2022 at 18:05 ·

L’importanza di raccontare i ricordi.

Quanto sono importanti per gli anziani con demenza i “vecchi” ricordi? E quanto lo è per chi li ascolta?

Nella comunità scientifica si discute spesso de l’importanza dei ricordi per gli anziani – compresi quelli con demenza -, rimembrare, raccontare vecchi ricordi ed esperienze. E se, allo stesso modo, può essere importate per chi li ascolta.

Con l’avanzare dell’età, i vecchi ricordi diventano più importanti, specialmente con i decenni che passano tra la tarda mezza età e la vecchiaia.

Quando gli ultra 90enni ricordano eventi passati, specialmente i più importanti, quelli accaduti nei primi 20 anni di vita, superano di gran lunga gli ultimi 20 anni appena passati. E’ come se nelle nostre menti i ricordi dei primi anni venissero immagazzinati sempre più in profondità nei circuiti cerebrali.

E’ chiaro a chiunque parli frequentemente con persone anziane che molti di loro si dilettano a ricordare (ricordare e ricordare…) esperienze delle loro vite passate. Dai tempi della Retorica di Aristotele, ci si è reso conto che ricordare non è dannoso, ma utile. E con l’avanzare dell’età le persone pensano molto meno al proprio futuro e di più al passato. Quest’attitudine non è malsana, ma una caratteristica dell’invecchiamento. Alle persone anziane, e soprattutto a quelle con demenza, non dovrebbe essere negato questo piacere.

La caratteristica dell’età senile a raccontare più volte gli stessi ricordi, mette in difficoltà le persone più giovani che trovano noioso ascoltare le stesse storie. Pensate che sfida per chi lo fa per professione ( OSS, Terapisti, Educatori Professionali, ecc.) come noi nelle strutture socio-sanitarie per gli anziani non autosufficienti. Ma è importante sapere che con il tempo la nostra memoria si sviluppa in ciò che Douwe Draaisma chiama “la fabbrica della nostalgia”. Questa è fonte di piacere quando si raggiunge una certa età.

La Terapia della “reminiscenza”.

importanza ricordi

L’osservazione della caratteristica tipica della vecchiaia a trovare piacere nel raccontare eventi passati da molto tempo, ha fatto sì che si studiassero programmi adatti per replicare il piacere del ricordo. Stiamo parlando della Terapia della Reminiscenza per le persone affette da demenza.

Una terapia, ovviamente, non farmacologica che può alleviare il dolore nella persona affetta da demenza.

Certamente non possiamo sostenere che i “programmi” di terapia della reminiscenza nell’assistenza quotidiana siano supportati da prove evidenti e scientifiche in grado di dimostrare i benefici delle terapie non farmacologiche. Ma, allo stesso tempo, crediamo che mentre siamo in compagnia con persone anziane, comprese persone con demenza da lieve a moderata, impegnarsi nella reminiscenza è piacevole e utile.

L’importanza di ascoltare i ricordi.

Le persone che ricordano si rallegrano con un ascoltatore che apprezza i loro ricordi ed è interessato alle loro storie. E a sua volta, è significativo che le famiglie imparino il più possibile dai loro genitori e parenti anziani sul passato della loro famiglia, specialmente in un momento in cui siamo e viviamo in una “società liquida”.

Quando le persone anziane ricordano e raccontano alleviano il peso e i dolori della vecchiaie , nel caso, della demenza. Mentre chi ascolta si arricchisce di esperienza, di storie e cultura. Si tratta di un vero vantaggio reciproco.

importanza ricordi

Naturalmente è essenziale ai fini della Terapia della Reminiscenza, un ascolto attivo e partecipativo: sforzarsi di mantenere queste reminiscenze il più accurate possibile, evitando storie “esagerate” e reindirizzando rispettosamente le conversazioni quando una storia diventa troppo fantasiosa; evitare che i ricordi diventino prepotenti e troppo lunghi. Il piacere di rievocare può sopraffare il buon senso se non è gestito.

Conclusioni.

Molte persone negli ultimi stadi del morbo di Alzheimer che solitamente sono totalmente confuse, dal nulla ricordano con grande dettaglio momenti importanti e si divertono a condividerli con un bambino, un parente stretto, un amico o un tutore. Molti ci raccontano che, in quei momenti, era come se il padre o la madre fossero tornati alla normalità, e chiedono perché non possono essere così tutto il tempo. Purtroppo non è possibile, ma c’è qualcosa di indelebile, presumibilmente nei centri della memoria che coinvolgono l’ippocampo, che rimane con noi per la maggior parte della nostra vita. Dovremmo sforzarci di fare tesoro della capacità miracolosa del cervello di aggrapparsi al passato.

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COVID-19 e Demenza. Una stretta correlazione

11 Febbraio 2022 at 20:11 ·

COVID-19 e Demenza. Una stretta correlazione

I malati di Alzheimer e i pazienti COVID-19 hanno nel sangue gli stessi Biomarcatori.

Dopo quasi due anni di pandemia causata dal COVID-19 l’attenzione della comunità scientifica e dei ricercatori si è focalizzata sull’impatto neurologico del COVID-19 sul cervello. Sulla correlazione tra Covid e la demenza di Alzheimer.

Una recente ricerca presentata all’edizione 2021 dell’Alzheimer Association International Conference, rileva una stretta correlazione tra COVID-19 e demenza. Il virus non solo accelera i sintomi e peggiora le condizione della malattia, ma può aumentare la probabilità che una persona sviluppi una forma di demenza.

Cosa succede nella “testa” di chi ha avuto il COVID-19?

Dalla nebbia cognitiva o perdita del gusto e dell’olfatto, a ictus improvvisi o delirio persistente, il virus può far insorgere una serie di sintomi neuro-psichiatrici. Nei pazienti che manifestano i sintomi del virus a lungo termine (soggetti guariti al Covid-19, sintomatici con patologie serie o addirittura asintomatici che mesi dopo essere tornati negativi, continuano a riportare patologie riconducibili al virus), questi persistono per mesi dopo il contagio. Ed è probabile che il danno al cervello possa durare tutta la vita.

Correlazione tra COVID-19 e Demenza.

Il legame tra COVID-19 e l’insorgenza della demenza o addirittura dell’Alzheimer non è ancora noto. I ricercatori avranno bisogno di anni di ricerca per comprendere appieno la correlazione tra le due malattie. Tuttavia aumentano le prove che le malattie condividono i biomarcatori che indicano un danno celebrale. E secondo un nuovo studio, il COVID-19 sembra accrescere in maggior modo i livelli di proteine ​​nel sangue legate alla neurodegenerazione rispetto al morbo di Alzheimer.

I risultati della ricerca, pubblicati qui, rilevano che sono stati trovati livelli alti di sette diversi biomarcatori della neurodegenerazione nei pazienti COVID-19 con sintomi neurologici rispetto a quelli senza sintomi neurologici.

Il livello dei biomarcatori è più alto nei pazienti deceduti in ospedale rispetto a quelli guariti. Quindi, effettivamente indicando una relazione tra la gravità della malattia e la gravità del danno cerebrale. Una seconda analisi ha rilevato che un sottoinsieme di marcatori nei pazienti ricoverati in ospedale con COVID-19 erano significativamente più alti rispetto ai pazienti con diagnosi di Alzheimer. In un caso, i livelli di biomarcatori erano più del doppio in un Malato di COVID-19 rispetto a quelli con la Malattia di Alzheimer.

Cosa ci dobbiamo aspettare.

I sintomi neurologici del COVID-19, come la perdita dell’olfatto, la ‘nebbia del cervello’ e le difficoltà con la concentrazione, la memoria, il pensiero e il linguaggio, sono la prova che il virus SARS-CoV-2 causa danni seri al cervello. Il danno cerebrale non è conseguenza diretta dell’invasione del cervello da parte del virus, quanto dell’infiammazione che ne consegue. Per tanto nel breve periodo si avrà una diminuzione delle persone affette da demenze a causa dei decessi. Ma nel lungo periodo i casi sono destinati a crescere a causa dell’impatto del COVID-19.

Si stima un aumento dei casi a 78 milioni entro il 2030, fino a 139 milioni entro il 2050 (dati diffusi dall’Organizzazione Mondiale della Sanità).

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La Malattia di Alzheimer: tutto ciò che devi sapere.

19 Febbraio 2021 at 19:10 · · Sticky

La Malattia di Alzheimer: tutto ciò che devi sapere.

La malattia di Alzheimer (detta anche Morbo di Alzheimer o semplicemente Alzheimer) è la forma più comune di demenza, la più degenerativa e la più invalidante che colpisce generalmente in età presenile e senile (oltre i 65 anni). Circa il 5% della popolazione anziana soffre di Alzheimer.

La malattia di Alzheimer prende il nome da Alois Alzheimer, psichiatra e neuropatologo austriaco che per la prima volta ne descrisse i sintomi e gli aspetti neuropatologici. Nel 1901 accolse nella clinica dove lavorava la signora Augusta D. : da subito, Alois, capì che quello era un caso molto interessante e di assoluta importanza per il mondo medico-scientifico. la signora Augusta D. presentava aggressività, allucinazioni, perdita di memoria, difficoltà a ricordare i nomi e vagava costantemente senza meta, disorientata. L’autopsia rivelò al dottore un cervello atrofico caratterizzato dalla presenza di grumi identificati come placche.

Da quel momento ricercatori e medici si sono dedicati e concentrati su come quelle placche contribuiscono all’insorgere della Malattia di Alzheimer.

Le Placche Amiloidi

La malattia di Alzheimer è dovuta all’accumulo nel cervello di proteine tossiche chiamate Beta-miloide e proteina TAU. Gli accumuli, ossia, le placche distruggono i neuroni amucchiandosi tra di loro. Agendo come un collante modificano la struttura neurale e limitano via via sempre più la trasmissione tra i neuroni fino a escluderla del tutto. L’accumulo di placche è accompagnato da una diminuzione dell’ Acetilcolina (il trasmettitore più importante.

Placche e grovigli tendono a diffondersi nella corteccia con il progredire della Malattia di Alzheimer. La velocità di progressione varia notevolmente. In media, una persona con Alzheimer vive da quattro a otto anni dopo la diagnosi, ma può vivere fino a 20 anni, a seconda di tanti altri fattori. Il decorso della malattia dipende in parte da quando è stata diagnosticata (tanto prima individuiamo l’ Alzheimer, più possiamo rallentarlo) e se una persona ha altri problemi di salute.

I tre stadi della Malattia di Alzheimer

A secondo della progressione degli accumuli e grovigli di Beta-miloide e TAU possiamo suddividere il corso della Malattia di Alzheimer in tre stadi: fase iniziale, da lieve a moderato e stadio acuto.

FASE INIZIALE …

Nelle prima fase iniziano a formarsi le placche nelle aree del cervello coinvolte nell’apprendimento e memoria; nel pensiero e pianificazione. In questa fase di solito non appaiono i sintomi che caratterizzano la Malattia di Alzheimer come – tra i tanti – la perdita di memoria, il disorientamento e le allucinazioni. Quindi, senza sintomi caratterizzanti, risulta molto difficile riconoscere la Malattia di Alzheimer con i normali test di oggi.

… DA LIEVE A MODERATO …

Negli stadi da lieve a moderato, le regioni cerebrali importanti per la memoria, il pensiero e la pianificazione sviluppano più placche di quante ne fossero presenti nella fase iniziale. Di conseguenza, gli individui sviluppano problemi di memoria o di pensiero abbastanza seri da interferire con il lavoro o la vita sociale. Le persone che si trovano in questa fase della Malattia di Alzheimer possono anche confondersi e avere problemi a gestire i soldi, a esprimere e organizzare i propri pensieri. E’ in questa fase che l’Alzheimer viene maggiormente diagnosticato proprio per le difficoltà che si presentano nel gestire la vita quotidiana. Man mano che l’Alzheimer progredisce, le persone possono sperimentare cambiamenti della personalità, del comportamento e avere difficoltà a riconoscere amici e familiari. Placche e grovigli in questo stadio sono diffusi anche nelle aree responsabili del: parlare e comprensione del discorso; orientamento (il tuo senso di dove si trova il tuo corpo rispetto agli oggetti intorno a te).

… FASE ACUTA

Nella fase acuta o avanzata della Malattia di Alzheimer la maggior parte della corteccia del cervello è gravemente danneggiata.

Il cervello si riduce drasticamente a causa della diffusa morte cellulare. I malati di Alzheimer che si trovano in queste condizioni perdono la capacità di parlare e comunicare, di riconoscere le persone che gli stanno intorno (famigliari e amici) e perdono la capacità di prendersi cura di se stessi.

Ci sono cure per bloccare la malattia?

La cura della Malattia di Alzheimer prevede la terapia farmacologica e terapie non farmacologiche applicate (riattivazione cognitiva, terapia occupazionale, musicaterapia ecc.) integrate con la formazione e consulenza alla famiglia che assiste il malato, con il controllo dell’alimentazione e dei fattori di rischio cardiovascolare.

Siamo ben lontani da avere una cura risolutiva: la Malattia di Alzheimer non si sconfigge. Tuttavia si può rallentare l’evoluzione della malattia e avere nelle fase iniziali un impatto positivo sulla qualità della vita del paziente e della sua famiglia.

La malattia è ereditaria?

La malattia di Alzheimer
La Malattia di Alzheimer. Tutto quello che devi sapere.

L’eziologia (le cause) della Malattia di Alzheimer è ad oggi ignota. Gli studi su gemelli monozigoti rivelano che solo il 50% dei casi insorge in entrambi. Per cui è verosimile che i fattori ambientali rivestano un ruolo importante. Infatti, oggi si può parlare di prevenzione anche in questo campo, raccomandando proprio uno stile di vita positivo: sana alimentazione, attività fisica e mentale, interessi, cultura e relazioni. Alcuni studi dimostrano che l’insorgenza del Morbo a carattere ereditario è minore tra gli individui che seguono uno stile di vita sano, corretto e positivo.

Certamente la famigliarità, come in tante altre malattie, costituisce un fattore di rischio per il suo sviluppo tra parenti con la Malattia di Alzheimer, rispetto alla popolazione generale. Tuttavia, gli studi genetici riportano soltanto una percentuale molto bassa di circa 5% nei quali la malattia viene trasmessa con carattere autosomico dominante. Tutte le altre volte che la malattia si manifesta e detta “sporadica” , propria a significare una non inesorabile insorgenza.

Stili di vita dannosi che facilitano la formazione delle placche

Alcolismo: In un recente studio sui topi, i ricercatori hanno scoperto che l’alcool non crea proteine tossiche nel cervello, ma impedisce al cervello di eliminarle, inibendo la “microlgia” (detta guardiano del cervello). La microlgia ha una funzione antinfiammatoria, regola il sistema immunitario del cervello ed elimina le proteine beta-miloide. Come già detto l’accumulo di tali proteine favorisce l’insorgenza della Malattia di Alzheimer.

Fumo: Altri studi hanno dimostrato che il fumo potrebbe esacerbare i sintomi della Malattia di Alzheimer. Fino ad oggi si pensava che piccole dosi di nicotina riducessero le placche. Più recentemente si è dimostrato che la nicotina favorisce i grovigli di proteina TAU peggiorando i sintomi dell’ Alzheimer e predispone alla malattia le persone sane.

Colesterolo e ipertensione: i due fattori sono associati in egual misura sia alla Malattia di Alzheimer che al diabete. Alcuni ricercatori chiamano addirittura l’Alzheimer “Diabete di tipo 3“. Le persone con pressione sanguigna alta hanno più probabilità di accumulare placche e grovigli.

Prevenire la Malattia di Alzheimer

I ricercatori sono d’accordo che si può prevenire la Malattia di Alzheimer o, nei peggiore dei casi ritardarne l’insorgenza, con uno stile di vita sano e corretto: fare attività fisica; seguire una dieta equilibrata; dormire bene.

Quando ci alleniamo il cervello produce una proteina chiamata “irisina” che avvantaggia le nostre capacità di pensiero e può persino aumentare la crescita neurale dell’ippocampo. Inoltre, facilita il sonno e riduce le placche e i grovigli di proteine responsabili della Malattia di Alzheimer.

Una alimentazione corretta composta principalmente da verdure, cereali, pesce, pollame e un bicchiere di vino riduce il rischio di Alzheimer fino al 53% delle possibilità. Limitare i livelli di glucosio nel proprio corpo riducendo l’assunzione di zuccheri e carboidrati evitiamo processi dannosi per il nostro cervello come infiammazione e accumulo di placche e grovigli.

In definitiva cambiare il proprio stile di vita verso uno stile più sano potrebbe aiutare a prevenire la Malattia di Alzheimer, ma senza alcun dubbio, se non è possibile geneticamente evitare l’Alzheimer si può sicuramente evitare i processi dannosi al cervello che alla fine si presentano come perdita di memoria e altri sintomi della malattia.

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Covid-19, la ‘nebbia cognitiva’ colpisce il cervello dopo il contagio.

28 Gennaio 2021 at 19:42 ·

Covid-19, la ‘nebbia cognitiva’ colpisce il cervello dopo il contagio.

Il cervello coinvolto quanto i polmoni.

Il Covid-19 colpisce il cervello e non soltanto i polmoni. Sia i sopravvissuti al SARS-Cov-19, sia gli “asintomatici”, evidenziano delle conseguenze più o meno transitori a danno del cervello, sintomi indicati come ‘Nebbia Cognitiva’.

E’ stato constatato che un guarito su venti accusa – dopo il contagio – vuoti di memoria, incapacità di svolgere azioni elementari, disorientamento. I ricercatori sono al lavoro per identificarne le cause degli «strascichi da virus», che si manifestano proprio sulle capacità mentali di chi ha lottato e vinto la malattia. In Italia sta approfondendo il problema la biologa Barbara Gallavotti:

«Il Covid può influire sulle nostre capacità mentali a medio e lungo termine. Molti, una volta guariti, lamentano una specie di nebbia e stanchezza mentale, sono i cosiddetti “strascichi”. Questi sintomi sembra riguardino una persona su venti. E si tratta di individui giovani, tra i 18 e i 49 anni».

Mente offuscata

Gli studi su questa nuova problematica sono ancora agli inizi, ma i risultati sono già significativi quelli fatti soprattutto in USA e CANADA dove un sondaggio effettuato su quasi 4.000 ex pazienti Covid-19 ha evidenziato che più della metà ha dichiarato di avere difficoltà di concentrazione e problemi cognitivi:

mente offuscata, non ci si ricorda più il tragitto da compiere per tornare a casa, si fa fatica a lavorare e a guidare la macchina, anche andare al supermarket diventa un’impresa.

Aluko Hope, specialista in terapia intensiva presso il Montefiore hospital di New York City, riferisce: circa un terzo dei suoi pazienti lamenta di non ricordare i numeri di telefono che conoscevano prima o di faticare a ricordare le parole appropriate.

È difficile credere che sia passato un anno da quando SARS-CoV-2, il virus responsabile del COVID-19, è stato rilevato per la prima volta a Wuhan, in Cina. Durante la pandemia, abbiamo acquisito gli infiniti di sintomi associati alla malattia: febbre, mancanza di respiro e tosse secca, solo per citarne alcuni. Ma spesso i sintomi più frustranti sono invisibili agli occhi e persistono a lungo dopo la fase acuta dell’infezione. Prendiamo ad esempio la nebbia cognitiva, una raccolta di sintomi neurologici che affligge molti malati di virus sia durante che dopo l’infezione.

Eliminare la Nebbia Cognitiva.

La situazione non è così nera!

I medici concordano sul fatto che, sebbene non sappiamo quali saranno le conseguenze a lungo termine, è importante riconoscere che i sintomi neurologici dovuti a COVID-19 sono curabili.

Nel 90% dei casi è stato possibile guarire e tornare come prima sottoponendo il paziente allo stesso programma di riabilitazione al quale sono sottoposti pazienti con diagnosi di commozione celebrale. Programma di 12 settimane che include allenamento cerebrale, neurofeedback e interventi sullo stile di vita.

Noi del Centro Diurno Demenze CHIA Srl possiamo applicare approcci terapeutici multidisciplinari per aiutare i pazienti COVID-19 a recuperare la capacità cognitiva persa. Se hai bisogno di noi o conosci qualcuno che può aver bisogno del nostro programma di recupero cognitivo, non esitare a contattarci linkando qui.

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Perché le persone con demenza hanno un rischio maggiore di coronavirus?

17 Marzo 2020 at 17:35 ·

Perché le persone con demenza hanno un rischio maggiore di coronavirus?

Con la paura del coronavirus, è importante prendere misure pratiche per prevenire la diffusione della malattia, in particolare tra le persone vulnerabili come gli anziani e le persone con demenza.

Le persone con demenza hanno tre punti deboli a loro sfavore che li rende ancor più vulnerabile al Coronavirus.

1. Le persone con demenza non possono capire del tutto le regole di prevenzione.

Il primo è che hanno maggiori probabilità di contrarre questa malattia se sono esposti perché gli anziani con la demenza non possono essere del tutto in grado di proteggersi attuando le regole e le misure necessarie per non contrarre il coronavirus.

Potrebbero non ricordare di lavarsi le mani, probabilmente non si ricorderanno di starnutire sulla piega del gomito, potrebbero non avere la misura nel mantenere le distanze dalle persone infette.

Di conseguenza, saranno più esposti al rischio di contrarre la malattia. E allo stesso modo quelle stesse ragioni li renderanno anche più propensi a diffondere la malattia. Potrebbero non mantenere le distanze dalle altre persone. Le persone con demenza possono anche avere disabilitato il riconoscimento e la consapevolezza dei sintomi.

2. Le persone con demenza non riescono a riconoscere i sintomi del coronavirus.

Quindi, sebbene possano avere mal di testa, o febbre bassa o tosse, è possibile che non ne siano consapevoli. Potrebbero non essere in grado di segnalare ai loro caregiver se c’è qualcosa che non va, o aver bisogno di cure mediche. E se non viene ri-portato all’attenzione, esporranno altri al virus durante il periodo di tempo in cui sono altamente contagiosi.

3. L’età media delle persone decedute per coronavirus è di 75 anni.

Il terzo punto a cui penso sia importante pensare è che hanno maggiori probabilità di essere il tipo di persone che moriranno a causa di questa infezione. In Cina, l’età media delle persone decedute per questa malattia era di 75 anni, e questo è significativamente superiore all’età media delle persone infette.

Quindi esiste una predilezione per questa malattia più grave tra gli anziani. E parlando di malattie, gli adulti più anziani tendono ad avere queste malattie comorbose che sono state collegate con una maggiore probabilità di morte con un’infezione da coronavirus.

Bisogna comunicare il pericolo del coronavirus alle persone con demenza?

Esistono vari tipi di demenza e vari stadi di demenza, quindi sicuramente ci sono persone con demenza che sarebbero in grado di capire che c’è un’infezione rischiosa e che devono lavarsi le mani e limitare la loro esposizione ad altre persone.

Ma una volta che la demenza progredisce al punto in cui qualcuno ha significativi problemi di memoria a breve termine o problemi significativi nel comprendere il ragionamento e pensare al comportamento corretto, a quel punto ricade davvero sul buonsenso del caregicer. Quindi potrebbe essere che il caregiver incoraggerà i residenti delle strutture a lavarsi le mani molto più frequentemente dopo essere andati in bagno, quando hanno contatti con altre persone e altre volte durante la giornata.

E poi anche stare attenti alle secrezioni corporee. Se qualcuno ha sintomi facendo attenzione a isolarli e utilizzare adeguati dispositivi di protezione individuale per proteggerli. La cura del personale addetto all’assistenza sarà davvero importante perché un membro del personale infetto che è asintomatico ma diffonde la malattia potrebbe creare scompiglio in una struttura di assistenza.

Potrebbero anche esserci persone con demenza che sarebbero spaventate, aggravate, preoccupate o, addirittura, deliranti se gli venisse detto di una malattia potenzialmente letale. Comunicare potrebbe servire solo a sconvolgerli. Quindi penso che il caregiver e la famiglia dovranno giudicare come queste informazioni influenzeranno il comportamento della persona con demenza.

Se la persona è in grado di assorbire comunicare le informazioni in modo da aiutarle a proteggersi e a non essere turbate. D’altra parte, se si tratta solo di turbare, spaventare e aggravare la persona, allora risparmiamo loro comunicare quanto sta succedendo.

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Frutta, spinaci e vino rosso contrastano l’Alzheimer.

13 Marzo 2020 at 08:35 ·

Frutta, spinaci e vino rosso contrastano l’Alzheimer.

I flavonoidi presenti in alcuni alimenti prevengono le malattia neuro-degenerative.

Nel cercare di trovare una cura per la demenza, ci si sta accorgendo che si potrebbe fare la differenza nel diminuire i casi di Alzheimer adottando una sana dieta. In un nuovo studio, i ricercatori hanno scoperta un particolare antiossidante, noto come flavonolo, trovato nella frutta e verdura e può combattere l’Alzheimer.

Se c’è qualcosa di cui i neurologi sono certi, è che l’esercizio fisico; una dieta ricca di cibi mediterranei come frutta; verdura e olio d’oliva sono le migliori strategie per rallentare la progressione delle malattie neurodegenerative. Ma cosa c’è esattamente nella frutta, spinaci e vino rosso che le rendono così protettive per il cervello?

I ricercatori della Rush University di Chicago hanno incominciato a studiare il flavonolo per definire meglio perché una dieta sana può prevenire o rallentare la progressione dell’Alzheimer.

Flavonoli e Alzheimer

I flavonoli sono un gruppo di sostanze di fitochimica, che sono composti attivi presenti nei pigmenti delle piante. Essi rientrano in una classe più ampia di flavonoidi, che si trovano nella corteccia, radici, steli, fiori, funghi, vino e tè. Da non confondere con i flavanoli (scritti con una “a”), i flavonoli si trovano in una grande varietà di frutta e verdura.

È noto da tempo che i flavonoidi in generale, date le loro proprietà antiossidanti e antinfiammatorie, sono considerati buoni per la salute.

Nell’ultimo studio, i ricercatori hanno esaminato 921 persone anziane con un’età media di 81 anni. I partecipanti non avevano Alzheimer o demenza. Ogni anno nel corso di sei anni, i partecipanti riferivano sulla frequenza con cui mangiavano cibi contenenti flavonoli; sono stati tenuti in considerazione anche i loro livelli di istruzione, attività fisica e attività mentale. Durante lo studio, 220 persone finiranno per sviluppare l’Alzheimer.

I ricercatori hanno suddiviso tutti i partecipanti in cinque gruppi, a seconda della quantità di flavonolo assunta nella loro dieta: il gruppo più basso mangiava circa 5,3 milligrammi di flavonolo al giorno e il gruppo più alto consumava circa 15,3 milligrammi al giorno.

Come la frutta e verdura combattono l’Alzheimer.

La considerazione principale fu che le persone del gruppo con più alto flavonolo hanno avuto il 48% in meno di probabilità di sviluppare l’Alzheimer, rispetto alle persone del gruppo più basso, anche quando i ricercatori hanno adattato i dati alla genetica, alla demografia e ad altri fattori dello stile di vita.

Sono necessarie ulteriori ricerche per confermare questi risultati, ma questi sono dati promettenti,

afferma il Dr. Thomas Holland l’autore principale del nuovo studio.

Mangiare più frutta e verdura e bere più tè potrebbe essere un modo abbastanza economico e semplice per aiutare le persone a prevenire la Malattia di Alzheimer

Con l’aumento della popolazione anziana in tutto il mondo, qualsiasi diminuzione del numero di persone con questa malattia devastante, o addirittura ritardandola di qualche anno, potrebbe avere un enorme beneficio per la salute pubblica.

Gli alimenti ricchi di Flavonoli.

È interessante sapere che esistono quattro diversi tipi di flavonoli: isoramnetina (presente in pere, olio d’oliva, vino e salsa di pomodoro); kaempferolo (presente in cavoli, fagioli, tè, spinaci e broccoli); miricetina (si trova nel tè, nel vino, nel cavolo, nelle arance e nei pomodori); la quercetina (presente nel pomodoro, nel cavolo, nelle mele e nel tè).

In tante ricerche recenti, gli scienziati hanno scoperto che un approccio della medicina ai cambiamenti dello stile di vita, personalizzato in base alla genetica, all’età e ai bisogni di una persona, potrebbe effettivamente rallentare il tasso di declino associato alle malattie neurodegenerative. Secondo tale studio, fino a un terzo dei casi di demenza potrebbe essere prevenuto con una dieta e attività fisica.

Fonte: AMERICAN ACADEMY OF NEUROLOGY.

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Coronavirus: le persone con demenza sono a maggior rischio. Ecco come prepararsi

7 Marzo 2020 at 14:17 ·

Coronavirus: le persone con demenza sono a maggior rischio. Ecco come prepararsi

Con la diffusione del coronavirus nell’Europa, le persone che vivono con l’Alzheimer o altre forme di demenza, così come i loro caregiver, dovrebbero adottare alcuni accorgimenti per prevenire e proteggere.

All’inizio di questa settimana i nostri esperti, hanno inviato ai loro clienti un aggiornamento via e-mail chiedendo attenzioni particolari per le persone affette da demenza. Spiegando che la demenza non è solo la perdita di memoria o altri problemi cognitivi.

Il cervello delle persone con demenza è sotto attacco ogni giorno. E poiché il cervello è il centro di comando per il resto del corpo, il sistema immunitario potrebbe essere fuori controllo. Quando leggi o ascolti avvisi per le persone con sistema immunitario compromesso – così dette fragili – è riferito anche al tuo caro affetto da demenza.

Lavati spesso le mani.

I funzionari della sanità pubblica affermano che tra i soggetti maggiormente a rischio per il coronavirus vi sono gli anziani e chiunque viva con condizioni di salute di base che possono indebolire il loro sistema immunitario. Morire a causa del virus è molto più probabile per le persone anziane e con problemi di salute.

Tra i consigli più importanti per gli operatori sanitari e caregivers, è assicurarsi che le persone con demenza si lavino le mani regolarmente e accuratamente.

Assicurarsi che il lavaggio delle mani avvenga – per almeno 40 secondi con il sapone – è il modo più semplice e migliore per proteggere l’anziano affetto da demenza.

Ulteriori suggerimenti su come aiutare le persone con demenza a fare il bagno e mantenere l’igiene sono disponibili qui.

Maggiori attenzioni alle loro esigenze.

L’anziano affetto da demenza potrebbe avere più difficoltà a esprimersi e quindi a far conoscere i suoi sintomi.

Questo implica essere un buon ascoltatore e controllare spesso il modo in cui qualcuno sta agendo o si sente per compensare le capacità di comunicazione ridotta.

La preoccupazione maggiore è proprio questa: a causa delle capacità comunicative ridotte, a secondo del livello di compromissione della demenza, una persona con demenza potrebbe anche non notare i propri sintomi se e quando contrae il coronavirus.

Sicurezza nelle case di cura.

Disinfettarsi le mani prima di avvicinarsi a una persona con Alzheimer o altro tipo di demenza

Si invitano gli operatori a disinfettare le superfici maggiormente toccate.

Ciò è particolarmente critico nelle strutture di lungodegenza come residenze socio sanitarie e case di cura. Il più grande focolaio di casi di coronavirus negli Stati Uniti finora è arrivato da una casa di cura nel sobborgo di Kirkland a Seattle. Alcuni media indicano quella clinica infermieristica l’epicentro dell’epidemia di coronavirus negli Stati Uniti.

Una delle maggiori minacce per i residenti di tali strutture è la salute dei visitatori. E’ naturale voler fare una visita al proprio parente o amico, ma bisogna assicurarsi di essere in buona salute e prendere tutte le precauzioni possibili prima di entrare in struttura.

Se hai il raffreddore, non andare trovare il tuo parente o amico. Se hai sintomi influenzali, non andare a trovare il tuo parente o amico.

Anche se ti senti bene e in forma sei pregato di disinfettarti le mani prima di avvicinarti ai pazienti affetti da demenza.

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Suggerimenti per l’igene di chi è affetto da demenza

7 Marzo 2020 at 00:26 ·

Suggerimenti per l’igene di chi è affetto da demenza

La persona affetta da Alzheimer o altro tipo di demenza, può avere difficoltà a eseguire e completare alcuni dei compiti più basilari. Come, per esempio, fare bagno può diventare difficile, sforzato e richiedere molto tempo.

Potresti notare che la persona con demenza o Alzheimer ha difficoltà a farsi la doccia o il bagno come una volta. Potrebbero rifiutare o dire di aver già fatto la docci.

Per fortuna, non è necessario fare il bagno ogni singolo giorno. Ma sicuramente vuoi che il tuo caro sia pulito/a e comodo, e faccia la doccia o il bagno almeno una o due volte alla settimana.

Mantenere l’igiene è anche importante per mantenere la pelle sana, prevenire le infezioni del tratto urinario e mantenere una buona salute orale. Ci sono alcuni consigli che puoi seguire per rendere più agevole il bagno con la demenza.

Conta il tuo approccio

Fare il bagno è un’esperienza incredibilmente intima e personale. Man mano che qualcuno progredisce nell’Alzheimer o demenza, avrà bisogno di un aiuto più pratico con questi tipi di attività quotidiane e personali, come vestirsi, usare il bagno e mangiare.

Per alcune persone con demenza, il bisogno di aiuto per fare il bagno o la doccia può sembrare una perdita di indipendenza particolarmente dura. Ciò potrebbe rendere più difficile adattarsi al cambiamento e potrebbe essere il motivo per cui potrebbero rifiutare di lavarsi.

è importante essere sensibili ai bisogni del paziente e rispettare la loro dignità.

L’assistenza centrata sulla persona si basa sulla progettazione di un approccio assistenziale con la conoscenza e la comprensione della storia, della cultura, dei bisogni e dei sentimenti dell’individuo. Tienilo a mente mentre stai lavorando per mantenere la persona a suo agio durante attività quotidiane come il bagno.

Sia che la persona con demenza ha paura di una doccia, sia se si siede in una vasca da bagno o si senta autosufficiente, dovrai rendere l’esperienza il più piacevole possibile per loro. Scoprire se preferiscono fare la doccia o lavarsi in una vasca da bagno, quindi, spiegare dolcemente ogni fase del processo. Puoi anche trovare tu modi diversi per adattare la tua routine e rendere più confortevole la persona amata. Se il bagno provoca angoscia, puoi invece provare con le spugnature.

È importante cercare di incoraggiare le persone con demenza a continuare con queste routine il più a lungo possibile.

Puoi aiutare la persona con la demenza a fare più facilmente un bagno scoprendo altre modalità che funzionano meglio. un modo il più familiare e rassicurante possibile.

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Vivere bene con l’Alzheimer. Migliorare la qualità della vita di pazienti e caregivers.

6 Marzo 2020 at 14:36 ·

Vivere bene con l’Alzheimer. Migliorare la qualità della vita di pazienti e caregivers.

Come si gestisce il cambiamento del rapporto tra qualcuno con demenza e i suoi familiari? Come possiamo superare i cambiamenti nelle relazioni interpersonali e vivere bene con l’alzheimer?

Una delle cose più difficili da riconoscere è che non possiamo avere ciò che eravamo soliti avere. Dovremo essere disposti a lasciar andare quella quotidianità che ci apparteneva. Ciò non significa rinunciarvi, ma ritornare alla vita di prima non può essere una finalità. Cercare di duplicare ciò che prima avevamo, o che eravamo, provocherà la sensazione di “Non è giusto. Questo è mortificante”. Quindi se, per esempio, eravamo una coppia, adesso potremmo aver bisogno di trascorrere del tempo separati; non soli, ma interagendo con qualcun altro, qualcuno adeguato.

Alcune persone che vivono con la demenza optano per i cani addestrati e sono molto efficaci perché diventano amici e il cane è addestrato a stare con la persona. Inoltre il cane ha un localizzatore, perciò se la persona si perde, possono essere rintracciato. Quindi le persone che non vogliono stare sempre con gli Alzheimer fanno meglio ad avere un cane addestrato.

Come affrontare la sindrome dell’amico che “scompare”? È quasi come se alcune persone pensassero che l’Alzheimer fosse contagioso.

Questo, sfortunatamente, è un fenomeno molto comune. Ed è così perché le persone non sono istruite ad essere amici degli alzheimer: quasi tutti ri-vogliono le amicizie che furono; non vogliono sostenere amicizie che cambiano. E diventano nervose e ansiose, e dicono la cosa più terribile che si potrebbe mai dire: “Allora, come sta?” E magari lo dicono di fronte al paziente.

Terribile, ma comprensibile: se non sai come avere una conversazione con una persona con Alzheimer, inizi a sentirti imbarazzato e a disagio, oppure, quando ti sei organizzato tutto il giorno per andare dall’amico e vedere insieme delle foto del liceo e quando ci sei ti dice “Non voglio guardare quella cosa stupida”, bisogna essere preparati a questo perché loro si trovano nella loro demenza dove le parole hanno un altro significato.

Quindi è importante essere preparati e avere opzioni del tipo: “Ho portato il mio album fotografico. Preferiresti guardarlo o uscire per una passeggiata?”. Bisogna adattare la nostra amicizia. Quello che è necessario capire è che il vecchio amico è a tratti scomparso, bisogna guardare la realtà e rinnovare l’amicizia.

MOTIVARE E COINVOLGERE

Cosa funziona meglio per “valorizzare” davvero la persona con demenza?

Per vivere bene con un Alzheimer dobbiamo essere consapevoli che alcune demenze producono più letargia e/o apatia rispetto ad altre, il che rende difficile trovare piacere. Quindi, se l’apatia è il problema, i membri della famiglia devono riconosce la necessità di un supporto esterno al nucleo familiare. Perché ogni volta che proverai a fargli/le fare qualcosa (vestire, mangiare, lavarsi,etc..), ogni volta che ti sentirai come se stessi cercando di spostare un macigno, allora, il suo comportamento ti sembrerà intenzionale: “Non ci provi nemmeno; non ti stai nemmeno alzando! “. E inizia a sembrare un campo di battaglia.

C’è la tendenza a iniziare a parlare alla persona con demenza come si fa con un bambino. Questo è da evitare?

Il consiglio per vivere bene con un Alzheimer è di semplificare il linguaggio e di non fare la babysitter. Si deve lavorare con le loro abilità residue, ma dobbiamo sapere abbastanza su ciò che ancora possiedono a livello cognitivo e su cosa facevano per formulare frasi a cui molto probabilmente saranno in grado di rispondere. Alla maggior parte delle persone piace sentirsi in grado di aiutare in qualche modo, quindi, si c’è la tendenza a chiedere cose di cui non si vuole necessariamente una risposta, ma è solo un modo di sentirsi all’altezza di aiutare qualcuno: è importante scegliere chiedere qualcosa che dia loro un senso di valore; che attivi la loro forza; qualcosa che richieda davvero, veramente, rispettosamente la loro opinione.

Se so che in passato le piacevano i fiori, potrei portare fiori semplici e dire: “Ci sono tre vasi qui, in quale vaso dovrei metterli?” . In Tal modo si è appena creato un’attività e qualunque cosa lei fa noi reagiamo complimentandoci e valorizzando il gesto: “Wow. Facciamo una foto di quello. “

In questo modo è vero che si sta portando un po’ di carico di lavoro per interagire, ma la persona inizia a sentirsi apprezzata. Non è finto come quando interagiamo come se fossi un bambino, ma veramente apprezzo ciò che hanno da offrire, apprezzo la nostra interazione. Apprezzo il modo in cui stiamo costruendo il tempo insieme. Ma se non lo vuoi davvero fare, non farlo, perché sembrerai falso.

ELIMINARE IL CONFLITTO

Come trattare i nostri cari con demenza che improvvisamente si voltano e dicono: “Ti odio”? Come indossare quell’armatura d’acciaio per dire: “È solo la malattia a parlare, non è la persona”?

Il fatto di entrare in conflitto è dovuto sia alla malattia e sia la fatto non siamo preparati ad affrontarla. E’ molte semplice entrare in conflitto con chi ha la demenza. Per esempio se si chiede di mettersi le calze, lui risponderà: “Beh, non ho bisogno di calze” e senza pensare lo attacchiamo dicendo: “Sì che hai bisogno di calze! Hai delle vesciche alle calcagna, hai il diabete, indossa un paio di calze! ”

Questo succede perché tutto quello che stiamo cercando di fare è aiutare, ma in quel momento il livello di stress è altissimo. Entrambe le persone hanno bisogno di tempo da spendere separati, in modo che possano godersi il tempo insieme. A volte il caregiver si assume troppi impegni e troppi ruoli per troppe ore, ed è logico che presto o tardi non si pensa nemmeno a quello che si sta facendo, diventa solo un dovere da fare in modo più velocemente possibile e liberasene.

Per evitare il conflitto bisogna sapere che non si può fare tutto da soli, bisogna staccare senza sensi di colpa, considerando il fatto che lo stress non è solo del caregiver, ma anche del paziente, quindi, entrambi hanno bisogno di tempo da passare separati. E’ importante considerare che il paziente a volte, o a tratti, è consapevole della sua malattia e del “disagio” che sta creando in famiglia. Per eliminare il conflitto e vivere bene con l’Alzheimer bisogna provare a non fare così tante cose per così tante ore: se pensiamo che la maggior parte del tempo che si sta insieme sono ore nelle quali si genera conflitto, allora, è bene trascorrere meno ore insieme.

A volte la persona con demenza ha bisogno di una figura genitoriale. Chi è adatto a quel ruolo?

Sicuramente hanno bisogno di una figura autoritaria. Quindi, chi è già un’autorità per loro? Può esserci qualcuno che non è il loro caregiver principale in modo che una persona ha il ruolo autoritario e il partner li rimane vicino per consolarlo?

Per vivere bene con l’Alzheimer la figura autoritaria deve essere diversa dal partner o dal caregiver principale soprattutto quando c’è da comunicare una brutta notizia al paziente. Un classico esempio è comunicare che non potrà mai più guidare un auto. Può succedere che la persona con demenza metterà in discussione chi glielo sta dicendo, solo allora può intervenire il partner difendendolo o magari rivolgendo altre domande all'”autorità”, ma quello che si sta realmente facendo è condividere il dolore delle notizie, rimanere accanto. In questo modo c’è una figura di autorità che stabilisce la legge, ma il partner rimane lì accanto a loro e dalla loro parte.

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Il potere del sonno profondo sul cervello.

4 Marzo 2020 at 09:31 ·

Il potere del sonno profondo sul cervello.

Come il sonno influisce sul cervello con decadimento neuro-cognitivo di tipo Alzheimer.

La ricerca sulla prevenzione della demenza ha esaminato una varietà di possibilità, tra cui dieta ed esercizio fisico. Ma i ricercatori stanno anche esaminando come il sonno influisce sul cervello quando si tratta di malattie neurodegenerative come l’Alzheimer.

Gli studi sul sonno.

Lo studio più recente è il più rilevante per i malati di Alzheimer e demenza. Si è cercato di capire cosa succede ai fluidi nel nostro cervello durante il sonno. Il motivo per cui si è studiato questo è che ci sono stati molti affascinanti lavori precedenti che dimostrano che il sonno è davvero fondamentale per la salute del cervello e che il sonno interrotto sembra essere associato a malattie neuro-degenerative.

I ricercatori hanno anche dimostrato che il sonno è collegato ai livelli di proteine tossiche, come la beta amiloide, nel cervello. Utilizzando l’imaging cerebrale per esaminare il liquido cerebrospinale nel cervello durante il sonno, che è un liquido che avvolge il cervello e lo ammortizza, hanno potuto monitorare i livelli delle tossine.

E quando le persone si addormentavano, si notavano queste grandi ondate di liquido che sembravano in qualche modo “sciacquare” il cervello, il che era davvero affascinante per i ricercatori.

Immaginando diversi aspetti della funzione cerebrale e ci si rese conto che uno specifico modello di attività elettrica che si verifica nel cervello durante il sonno è seguito da un’ondata di ossigenazione del sangue e quindi dall’onda di fluido. Sembra che i procedimenti sono accoppiate insieme. Da qui si è andato a studiare cosa potrebbero significare queste onde di fluido e le conseguenze per la salute del cervello.

La qualità del sonno e il rischio di demenza.

In termini di legame con la demenza, è ormai ben stabilito che il sonno è realmente alterato nei pazienti con demenza e che gli effetti reali dello sonno alterato, sono gli stessi associati alle onde di flusso.

Lo studio era rivolto a giovani adulti completamente sani, per osservare cosa succede normalmente nei cervelli tipici tra i 20 e i 30 anni. Allora, secondo le previsioni dello studio, se si eseguisse la stessa imaging cerebrale nei pazienti con demenza, si vedrebbe meno di quel flusso.

Il sonno elimina le tossine dal cervello?

Anche se dallo studio non si è potuto misurare la quantità di tossine eliminate durante il sonno, si è però quantificata la rapidità e la frequenza con cui avvengono le ondate di flusso. Ovviamente, scoperto ciò si inizierà a studiare qual’è , e quanto, il prodotto di scarto che ne risulta da queste ondate.

Ci potranno essere anche proteine beta-amiloide, ma bisogna attendere le prossime ricerche per avere conferma.

Le fasi del sonno

Quale tipo di sonno per avere una buona salute mentale?

Tutte le fasi del sonno sono importanti: ci sono molte diverse fasi del sonno e ognuna di esse è essere importante in modo diverso, quindi non è necessario che ci sia il più importante, ma ognuno ha una funzione diversa nel cervello.

Inoltre, c’è da dire che si incontrano parecchie difficoltà a monitorare il sonno di un individuo. In quanto lo stesso è costretto ad addormentarsi tra le apparecchiature degli scienziati in un laboratorio.

Il modo in cui si definisce la qualità del sonno è basato sull’attività elettrica del cervello segnalata dai tracce che seguono anche il ritmo cardiaco, quindi è molto difficile distinguere le varie fasi del sonno. Molte pubblicazioni lo fanno. Distinguono il sonno in fasi distinti, ma ovviamente sono delle conclusioni troppo affrettate.

La fase non-REM, di solito è circa il 70% nella fase intermedia; il 15% in sonno leggero e il 15% in sonno profondo. E poi la fase REM incomincia più tardi nella notte, quindi di solito è solo nella seconda metà della notte che stai dormendo. Anche se il sonno è molto individuale: tutti siamo diversi.

Ci sono persone fortunate che hanno solo bisogno di dormire un po ‘ e ce ne sono altre che ne hanno bisogno di dormire molto, e le persone hanno diversi ritmi sonno/veglia. Si sta ancora studiando esattamente come ciascuna di queste dinamiche si collega alla funzione cerebrale.

Fonte: https://science.sciencemag.org/content/366/6465/628

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